Bambini palestinesi trucidati, madri in lacrime sulla tomba dei loro figli, foto di ragazzini con una pistola puntata alla testa, moschee bombardate. Sono queste le macabre immagini che i soldati israeliani chiedono di stampare sulle loro magliette. "One shot, two kills" (un colpo, due morti) è invece l'inquietante frase stampata sulla t-shirt di un militare in borghese, ripreso di spalle dal quotidiano Haaretz che ha pubblicato l'inchiesta.
Sopra la scritta, la foto di una donna palestinese incinta, centrata in un mirino. Gli uffici di "Adiv", il negozio di magliette nella zona sud di Tel Aviv, stanno ricevendo un numero crescente di richieste da parte di militari israeliani.
Una maglietta appena uscita dalla stampante è stata prenotata da un cecchino dell'esercito. Sotto la foto del corpo di un bambino palestinese, con accanto la madre in lacrime, campeggia la scritta "Better use Durex" (meglio usare il profilattico).
"Scommetti che sarai violentata?", è la domanda stampata sulla maglia di un altro soldato, accanto all'immagine di una ragazza piena di lividi. Diverse magliette portano la scritta "confirming the kill" (verifica di aver ucciso), con l'invito a sparare un colpo di pistola alla testa alle proprie vittime. Su altre t-shirt, le immagini di moschee bombardate. Poi, cadaveri e devastazioni.
E' già la seconda volta in una settimana che l'esercito israeliano finisce nella bufera. Giovedì scorso, sempre il quotidiano Haaretz ha sostenuto che le forze armate israeliane durante l'offensiva nelle Striscia hanno ucciso "civili palestinesi grazie a regole di ingaggio tolleranti" e "distrutto deliberatamente le loro proprietà". L'inchiesta si basava sulle testimonianze di alcuni soldati che parteciparono all'operazione Piombo Fuso.
Uno dei militari di Tsahal aveva raccontato di una donna e dei suoi figli uccisi per errore da un cecchino che, per un difetto di comunicazione, non era stato informato in tempo che le vittime erano state autorizzate a uscire dalla casa nella quale erano state chiuse da giorni. In un altro caso, "il comandante di una compagnia ordinò di sparare a un'anziana donna palestinese" che morì sul colpo. La sua unica colpa, scriveva Haaretz, era stata quella di camminare "a 100 metri da una casa dove i soldati (israeliani) avevano installato il loro comando". Già allora un portavoce dell'esercito aveva annunciato l'apertura di un'inchiesta.
Questi sono i buoni........ Sembrano il 7° cavalleggeri di Custer.......
venerdì 25 febbraio 2011
martedì 22 febbraio 2011
Il Caso Pearl Harbor
“ …e mentre sto parlando a voi, madri e padri, vi do un’altra assicurazione. L’ho già detto altre volte, ma lo ripeterò all’infinito. I vostri ragazzi non verranno mandati a combattere nessuna guerra straniera... potete quindi definire qualsiasi discorso sull’invio di eserciti in Europa come pura menzogna”.
Riguardo allo storico attacco di Pearl Harbor, i libri di scuola, i film, i documentari e tutti i reportage storici allineati alle versioni ufficiali ci hanno raccontato solo una verità di comodo. Attraverso i canali d’informazione istituzionali è stato ripetuto fino alla nausea che nel 1941 un brutale attacco aereo giapponese a sorpresa annientò la flotta americana del pacifico, lasciando sul campo migliaia di vittime innocenti. Tale versione dei fatti venne diramata dalla Casa Bianca allo scopo di scatenare l’indignazione del popolo americano. Da qui, a legittimare la sua chiamata al fronte come un dovere morale, il passo è stato molto breve.
Sono passati molti anni da quel drammatico 7 dicembre 1941, ma la storia continua a riemergere inquietante, come il cadavere di un omicidio che non vuole affondare. Le numerose inchieste pubbliche e private condotte su Pearl Harbor sembrano infatti avere raccolto ormai sufficiente materiale probatorio per ricostruire una volta per tutte, il vero corso degli eventi in questione.
La censura della storia
Il Giappone, contrariamente a quanto viene convenzionalmente accettato nella letteratura istituzionale didattica mondiale, venne deliberatamente provocato a reagire militarmente da F. D. Roosevelt in tutti i modi possibili. Tale strategia d’azione fu definita nero su bianco nel riservatissimo piano McCollum [34], uno scottante documento che alcuni ricercatori storici sono riusciti a rendere di pubblico dominio.
Nel corso del tempo, sono infatti emerse numerose prove che dimostrano come i servizi dell’intelligence americana riuscirono a decriptare tempestivamente tutti i piani dell’imminente attacco giapponese. La strage di Pearl Harbor quindi, poteva essere evitata e con essa naturalmente, anche la partecipazione dell’America alla guerra. A confermarlo, ci sono persino le testimonianze rese da alti ufficiali della marina americana (come ad es. quella dell’ammiraglio Husband Kimmel o del tenente generale Richardson).
Ed è proprio da questi ultimi infatti che è partita la “prima pietra dello scandalo”. Le loro versioni sulla vicenda, sono oggi disponibili in molte dettagliatissime pubblicazioni, a cominciare, da “Il giorno dell'inganno” di Robert B. Stinnet (pluridecorato USA per il valore militare 42'- 46').
Pertanto, le fonti delle informazioni che sono alla base delle accuse contro Roosevelt, non sono costituite (come qualcuno potrebbe pensare) dalle malsane elucubrazioni di estremisti anti-americani, ma come anzidetto, provengono direttamente dagli archivi militari USA e/o dagli stessi ufficiali della marina che prestarono servizio durante la guerra del Pacifico.
Le ragione di questa situazione per così dire “anomala” è in realtà molto semplice da spiegare. Il piano McCollum caldeggiato da Roosevelt, ha rappresentato un crimine commesso contro tutte le nazioni che poi sono state chiamate alle armi. Quindi la prima vittima di questa tipologia di complotti è sempre stata il popolo, non da ultimo, proprio quello americano, ammiragli compresi.
Ecco perché tra i cosiddetti “anti-americani” che si oppongono alla versione ufficiale su Pearl Harbor compaiono anche i nomi “ingombranti” di autorevoli studiosi e testimoni a stelle e strisce. Molti di loro infatti, compresero perfettamente che il vero nemico della pace non veniva dal lontano Pacifico ma si annidava invece nella stessa America, tra i membre della Casa Bianca e quelli dei lussuosi uffici di Wall street. Di conseguenza, le generiche accuse di anti-americanismo rivolte contro chiunque cerchi di portare a galla la verità su Pearl Harbor risultano essere veramente fuori luogo.
Viceversa, le prove contro il governo Roosevelt, pesano come un macigno che nessun perito della commissione ufficiale d’inchiesta è riuscito a smuovere di un millimetro.
La flotta USA, avrebbe potuto tranquillamente essere messa in salvo, ma si fece l’esatto opposto, affinché migliaia di soldati americani trovassero la morte sotto le bombe giapponesi. Perché? La risposta è tanto chiara quanto scandalosa. Il vero obiettivo di Roosevelt era quello di creare il roboante casus belli di cui avevano bisogno i poteri forti per coinvolgere la nazione americana nel conflitto.
E dallo stesso momento in cui venne deciso che le navi da guerra USA, con tutto il loro carico umano sarebbero serviti da esca, la base di Pearl Harbor venne deputata a questa funzione sacrificale. Quello che accadde dopo fu solo la cronaca di una strage annunciata.....
Il Giappone quindi non solo si trovò a dover sopportare le gravi azioni di provocazione messe in atto con il piano McCollum, ma venne anche “indotto in tentazione” dallo stesso Roosevelt che “suggeriva” ai generali nipponici la soluzione della crisi con un colpo di mano. Come? Semplicemente “porgendo il fianco” della sua flotta al nemico. Le navi da guerra americane infatti vennero costantemente mantenute in zona di pericolo per ordine diretto del Presidente. Il comando giapponese fu così spinto a credere di dover approfittare di un occasione irripetibile per cercare di vincere una guerra ormai inevitabile contro il gigante americano. Ma cadde solo nella trappola…
Una regia occulta
Come verrà illustrato nel prosieguo, dietro le dinamiche degli eventi bellici è sempre possibile intravedere l'ombra cupa dei poteri forti, una realtà che emerge sconcertante tutte le volte che si effettuano dei reali approfondimenti. In pochi ne parlano apertamente, ma sono solo questi a manipolare tanto il corso della storia quanto il mondo dell’informazione. Sono talmente potenti che possono permettersi il lusso di insabbiare tutti i loro crimini senza mai apparire come primi attori. E le grandi inchieste ufficiali troppo spesso servono solo a manipolare l’opinione pubblica, mentre al contempo, le fonti d’informazione non controllate (come le piccole case editrici o i siti internet) vengono demonizzate e messe alla berlina nel circolo mediatico di più larga diffusione.
Come è cambiata l’America dopo Pearl Harbor
Prima del fatidico 7 dicembre 1941, l’88% della popolazione americana (sondaggio realizzato in America nel settembre 1940) era contraria a mandare i propri figli a morire per una guerra lontana [31] e il signor F. D. Roosevelt, proprio come il signor W. Wilson, venne eletto Presidente grazie alla promessa che non avrebbe mai trascinato la nazione in un conflitto.
Ecco infatti, cosa dichiarò pubblicamente ai suoi elettori F.D. Roosevelt: “… e mentre sto parlando a voi, madri e padri, vi do un’altra assicurazione. L’ho già detto altre volte, ma lo ripeterò all’infinito. I vostri ragazzi non verranno mandati a combattere nessuna guerra straniera...[1]
Ma nonostante queste buone dichiarazioni d’intenti volte solo ad accattivarsi il consenso di un America pacifista, il procurato attacco giapponese e il conseguente bagno di sangue di Pearl Harbor, provocarono una ondata emotiva tale che l’opinione pubblica americana mutò repentinamente atteggiamento, optando, come cinicamente previsto, a favore dell’intervento militare. In sostanza, senza un episodio come quello di Pearl Harbor, l’amministrazione americana non avrebbe mai potuto trascinare il paese in guerra e il Presidente Roosevelt avrebbe dovuto, “suo malgrado”, mantenere le promesse fatte alla nazione.
Il piano McCollum
Grazie al Freedom of Information Act promosso dal parlamentare USA John Moss, molti ricercatori indipendenti hanno potuto trovare accesso ad uno straordinario numero di documenti sulla guerra del Pacifico. Dallo studio accurato di questi è poi emersa tutta la verità sconcertante;
Si viene così a sapere che già il 7 ottobre del 1940, nel quartier generale della Marina di Washington, circolò un bollettino destinato a compromettere per sempre l’amministrazione Roosevelt nella premeditazione della guerra. Il dispaccio proveniva dall’ufficio dei servizi informativi ed era indirizzato a due dei più fidati consiglieri del Presidente, i capitani della Marina Walter S. Anderson e Dudley W. Knox. Al suo interno recava la sottoscrizione in calce del capitano di corvetta Arthur H. McCollum, un militare esperto dei costumi del “sol levante”. Quest’ultimo infatti, aveva trascorso diversi anni della sua vita in Giappone e ne conosceva perfettamente la cultura. Si poneva quindi come l’uomo adatto per studiare una strategia di provocazione.
McCollum elaborò così un piano che prevedeva otto diverse modalità d’azione per ingaggiare una guerra con il Giappone. Il documento si componeva di cinque pagine e in esso si faceva esplicito riferimento alla creazione di quelle condizioni che avrebbero costretto i giapponesi ad una reazione armata contro gli USA.
Una volta che questa si fosse verificata, la nazione americana si sarebbe ritrovata automaticamente impelagata nell’intero conflitto mondiale. Proprio ciò che volevano gli oscuri signori della guerra in doppiopetto e bombetta. La stipula del famoso patto tripartito (siglato a Berlino il 27 Settembre 1940), garantiva infatti alle forze dell’asse (Germania, Italia, Giappone) mutuo soccorso reciproco durante tutto il conflitto.
Le operazioni da seguire per raggiungere questo obiettivo sono qui di seguito sinteticamente elencate:
1. Accordarsi con la Gran Bretagna per l’utilizzo delle basi inglesi nel Pacifico, soprattutto Singapore.
2. Accordarsi con l’Olanda per utilizzare le attrezzature della base e poter ottenere provviste nelle Indie orientali olandesi (l’attuale Indonesia).
3. Fornire tutto l’aiuto possibile al governo cinese di Chiang Kai-Shek.
4. Inviare in Oriente, nelle Filippine o Singapore, una divisione di incrociatori pesanti a lungo raggio.
5. Spostare le due divisioni di sottomarini in Oriente.
6. Tenere la flotta principale degli Stati Uniti, attualmente nel Pacifico, nei pressi delle isole Hawaii.
7. Insistere con gli olandesi affinché rifiutino di garantire al Giappone le richieste per concessioni economiche non dovute, soprattutto riguardo al petrolio.
8. Dichiarare l’embargo per tutti i commerci con il Giappone, parallelamente all’embargo dell’impero Britannico.
- Il bollettino McCollum delle otto azioni è stato scoperto da Robert B. Stinnet t il 24 gennaio 1995 nella scatola n.6 di una speciale raccolta della Marina degli Stati Uniti, RG 38, Modern Military Record Branch degli Archives II. - [34]
Le altre prove del complotto
Ciò premesso, la versione ufficiale ha escluso comunque qualsiasi tipo di coinvolgimento del Presidente Roosevelt in un complotto contro le nazioni. Una conclusione “politica” che però non trova alcun fondamento nella storia. Roosevelt venne infatti complessivamente informato del “pericolo” di un imminente attacco giapponese da almeno ben otto fonti diverse [2]. Inoltre, il 27 e il 28 novembre 1941, gli alti ufficiali americani ricevettero un ordine che la dice lunga sulle vere intenzioni del governo Roosevelt : “Gli Stati Uniti desiderano che il Giappone compia il primo atto diretto” [3]. Un comunicato questo che, stando alla testimonianza del ministro della guerra Henry L. Stimson venne emanato direttamente da Roosevelt (anche se in realtà, come verrà chiarito in seguito, Stimson cercò solo di scaricare tutti i dubbi e le ombre di cospirazione sul Presidente).
Eclatante a tal proposito anche il messaggio scritto al Segretario di Stato Cordell Hull dall'ambasciatore americano a Tokyo, Joseph Grew il 27 gennaio 1941. Nella riservatissima missiva che C. Hull si affrettò a distribuire ai servizi informativi (e quindi anche direttamente al Presidente) si leggeva infatti a chiare lettere che in caso di guerra, Pearl Harbor sarebbe stato il primo bersaglio [4].
Ma ecco cosa affermava esattamente il testo del cablogramma in questione [5]: “Un collega peruviano ha rivelato a un membro del mio staff di aver sentito diverse fonti, compresa una fonte giapponese, che le forze militari giapponesi hanno progettato, in caso di problemi con gli Stati Uniti, di tentare un attacco a sorpresa su Pearl Harbor impiegando tutte le strutture militari a loro disposizione. Ha aggiunto inoltre che, sebbene il piano possa sembrare una fantasia, il fatto che lo abbia sentito da più parti lo ha indotto a passare l’informazione. - Grew”
E se come anticipato, l’intelligence USA era in grado di decriptare i messaggi in codice giapponesi già molto tempo prima di Pearl Harbor, il Presidente deve necessariamente avere conosciuto con largo anticipo, le modalità con cui sarebbe avvenuto l’attacco a “sorpresa” giapponese.
Al contrario, i comandanti del contingente americano direttamente interessato, e cioè l’ammiraglio Husband Kimmel e il tenente generale Walter Short, vennero tenuti completamente all’oscuro di quanto stava realmente accadendo, onde evitare che potessero adottare le opportune contromisure (come ad es. reclamare uno spostamento della flotta in una zona più sicura). Il giorno dell’attacco infatti, nella base di Pearl Harbor non era stato neppure proclamato lo stato d’allerta e le perdite umane furono spaventose. Si verificò così, proprio quella strage degli innocenti che serviva all’amministrazione americana per mobilitare l’indignazione del popolo americano. Il bollettino di guerra fu straziante, sette navi da guerra affondate all’ancora, 2273 morti (tra civili e militari) e 1119 feriti.
Quando vennero aperte le prime indagini nella commissione d’inchiesta del 1946, fu esclusa ufficialmente qualsiasi responsabilità diretta di D. F. Rosevelt sulla base dell’assunto che il Presidente non sarebbe mai venuto a conoscenza del piano McCollum. Tuttavia, esiste ormai un castello di prove che dimostra l’esatto opposto. E per fare maggiore chiarezza, basti dire che le perizie scientifiche svolte sul famoso protocollo hanno accertato la presenza delle sue impronte digitali su ognuna delle cinque pagine del piano [3]. In un processo “normale”, tale materiale probatorio, sarebbe stato sufficiente a far condannare chiunque oltre ogni ragionevole dubbio.
Roosevelt peraltro, ordinò di spostare buona parte della flotta USA alle Hawaii proprio il giorno successivo alla divulgazione del suddetto bollettino e quindi in completa ottemperanza al piano McCollum. Tale disposizione della casa bianca infatti, non poteva essere connessa ad alcun altra strategia militare razionale se non quella della provocazione.
Le proteste degli alti ufficiali
Il trasferimento di preziose unità navali americane nelle acque del Pacifico risultò quindi talmente incomprensibile agli alti ufficiali di marina che prima di essere accettato dovette scontrarsi con le animose proteste dell’ammiraglio Richardson qui di seguito riportate testualmente: “Signor Presidente, gli ufficiali più anziani della Marina non hanno la fiducia nella guida civile di questo paese…” [6].
Richardson dimostrò risolutamente tutto il proprio disappunto, in quanto da buon ufficiale di marina, sapeva bene che stanziare la flotta nelle acque delle Hawaii sarebbe stato interpretato dal comando giapponese come un chiaro atto di ostilità, o meglio come i preparativi per un’aggressione. Proprio ciò che Richardson, per lealtà al suo paese avrebbe voluto evitare.
Il documento programmatico di McCollum del resto, non lasciava dubbi di sorta circa le sue reali finalità provocatorie. E in particolar modo alla lettera D, dove contemplava addirittura l’invio di navi da guerra americane nelle acque territoriali giapponesi o appena fuori di esse.
Durante i riservatissimi briefing militari che si tennero alla Casa Bianca, Roosevelt infatti, si dimostrò irremovibile sulla necessità di porre in atto simili azioni. Non accettò mai alcuna obiezione o variazione del piano. E dopo avere programmato gli sconfinamenti della flotta americana sotto l’appellativo di “missioni a sorpresa” dichiarò espressamente: “Voglio semplicemente che sbuchino qua e là e che i giapponesi continuino a chiedersene la ragione… [7].
Affermazioni queste che incontrarono anche le obiezioni degli altri alti ufficiali. L’ammiraglio Husband Kimmel ad esempio, quando venne posto di fronte all’ordine di condurre “missioni a sorpresa” per provocare i giapponesi si lasciò scappare la seguente affermazione: “E’ una mossa sconsiderata e compierla porterà alla guerra” [8].
Ma quando l’ammiraglio Kimmel si rese conto che Roosevelt non aveva alcuna intenzione di tornare sui propri passi, preferì scendere a compromessi e offrì la sua collaborazione all’unica condizione che fosse stato tempestivamente informato delle contromosse giapponesi.
Il “dietro-front” di Kimmel venne quindi premiato con una promozione al grado di ammiraglio e con la nomina di comandante in capo della flotta del Pacifico. Chi invece, come l’ammiraglio Richardson, mantenne coraggiosamente la sua posizione, venne rimosso il 1 febbraio 1941 durante una importante riorganizzazione della Marina.
Roosevelt ordinò infatti la suddivisione delle forze navali in due contingenti distinti, una flotta per l’Atlantico e l’altra per il Pacifico. Un’escamotage che gli consentì di liberarsi agevolmente degli ufficiali non allineati ai suoi programmi, e di prepararsi nello stesso tempo, ad affrontare un conflitto allargato alla Germania.
La registrazione degli ordini emanati direttamente da Roosevelt nel periodo a cavallo tra marzo e luglio 1941 dimostra ancora più dettagliatamente quanto egli fosse realmente immischiato nel piano McCollum. Il Presidente diede disposizioni di sua iniziativa e persino contro il parere dei suoi più alti ufficiali per violare reiteratamente il diritto internazionale. Vennero quindi dispiegati gruppi navali militari operativi (in pieno assetto di guerra) al confine delle acque territoriali giapponesi allo scopo di compiere tre “missioni a sorpresa” [9].
Altri indizi inquietanti riguardo un diretto coinvolgimento del Presidente in una cospirazione provengono dallo stesso modo in cui vennero organizzati i servizi informativi. Le traduzioni dei messaggi in codice giapponesi ad esempio, dovevano pervenire direttamente nelle sue mani o in quelle di soggetti da lui autorizzati. Tutte le intercettazioni militari e diplomatiche giapponesi gia decodificate arrivarono quindi alla casa bianca baipassando l’ammiraglio Kimmel, il comandante in capo della flotta nel Pacifico. In questo modo venne garantita la massima segretezza possibile sulle reazioni di Yamamoto alle provocazioni americane. Persino nei confronti dello stesso stato maggiore USA.
http://www.youtube.com/watch?v=ybNvdKBYwp0&feature=player_embedded
E appena le “missioni a sorpresa” ebbero inizio, le navi guerra americane cominciarono a scorazzare intorno alle acque territoriali giapponesi arrivando ad insidiare perfino lo stretto di Bungo, ovvero l’accesso principale al Mar del Giappone. Ne scaturì una crisi diplomatica che culminò con le proteste ufficiali del ministero della Marina giapponese. La lettera venne consegnata all’ambasciatore Grew di Tokyo, per denunciare quanto segue: “Nella notte del 31 luglio 1941, le unità della flotta giapponese ancorate nella Baia di Sukumo (stretto di Bungo) hanno captato il suono di eliche che si avvicinavano da est. I cacciatorpediniere della Marina giapponese hanno avvistato due incrociatori che sono scomparsi in direzione sud dietro la cortina di fumo accesa dopo che gli era stato intimato il chi va là…..Gli ufficiali della Marina ritengono che le imbarcazioni fossero incrociatori degli Stati Uniti”.
L’ombra dell’alta finanza dietro la programmazione della guerra
L’amministrazione americana non è mai stato il vero attore delle guerre più recenti, ma solo una pallida comparsa. Il soggetto pubblico su cui riversare tutte le colpe.
Le reali motivazioni che spinsero il Presidente Roosevelt a catapultare il popolo americano in guerra, conducono inequivocabilmente ad alcuni dei retroscena meno divulgati del secondo conflitto mondiale.
Ecco ad esempio cosa è clamorosamente “sfuggito” agli storici della versione ufficiale:
Nell’estate del 1940 (prima dell’emanazione del protocollo McCollum), Roosevelt elaborò un piano di politica estera volto ad isolare economicamente il Giappone e le forze dell’asse con una serie di embarghi. Ma la circostanza quantomeno “anomala”, è che la Casa Bianca stava riservatamente operando al contempo per garantire a questi stessi paesi nemici la scorta di risorse energetiche a loro necessarie per intraprendere una lunga guerra proprio contro gli Stati Uniti e i suoi alleati. Roosevelt scelse infatti di dare corso alle vere provocazioni (del protocollo McCollum) solo quando il Giappone venne ritenuto in grado di sostenere il conflitto. Pertanto, i giapponesi ricevettero tutto l’approvvigionamento di materie prime (in particolare il petrolio) di cui avevano bisogno persino durante il proclamato embargo.
Nei mesi di luglio e ottobre del 1940, in pieno regime di apparente isolamento economico del Giappone, il Call Bullettin di San Francisco fotografò degli operai sul molo del porto cittadino mentre stavano tranquillamente provvedendo allo stoccaggio di numerosi container nelle stive di due navi da trasporto nipponiche. Si trattava della “Tasukawa Maru” e della “Bordeau Maru”, entrambe, vennero caricate con ingenti quantità di quel materiale ferroso di cui aveva fortemente bisogno l’industria pesante Giapponese, un paese ritenuto ufficialmente ostile. Una volta terminate le operazioni di carico, il naviglio prese il largo e fece rotta verso la madrepatria. Ma non si trattò solo di un caso isolato perché la scena era destinata a ripetersi in modo quasi surreale per tutto il 1940 e il 1941 persino dopo lo scoppio del conflitto [10].
La vicenda in questione non era certo sfuggita ai servizi segreti americani che annotarono tutti gli spostamenti delle navi da trasporto giapponesi (ibid). E anche per quanto concerneva i rifornimenti di petrolio, la violazione delle restrizioni avvenne in modo sistematico e del tutto evidente. L’embargo infatti non fu mai applicato alle raffinerie ubicate sulla costa occidentale degli Stati Uniti (ibid p.36), pertanto è lecito concludere che l’osannato isolamento del Giappone fosse solo una manovra politica di facciata.
A dispetto dei proclami formali, la Casa Bianca si adoperò dietro le luci dei cronisti per sostenere le capacità belliche Giapponesi. Lo scopo era quello di prepararlo all’imminente conflitto già in agenda dei poteri forti. Un assunto questo che, per quanto possa apparire assurdo a chi ha sempre creduto alla favola dell’imperialismo americano (o viceversa, ha riposto la massima fiducia nei metodi democratici dell’amministrazione USA), non solo risponde al vero, ma dimostra come l’opinione pubblica sia stata sempre spudoratamente manipolata.
Il console generale giapponese rassicurò infatti il suo governo che al di là dei proclami formali, Roosevelt e il suo esecutivo, stavano chiudendo un occhio sui rifornimenti “americani” affermando letteralmente: “Tutti i nostri permessi di esportazione sono stati garantiti. Le agenzie americane da cui acquistiamo il petrolio procedono e stabiliscono accordi soddisfacenti con le autorità governative di Washington” [11]
L’alto funzionario diplomatico giapponese specificò inoltre che era riuscito ad acquistare una miscela speciale di petrolio greggio eludendo facilmente i divieti imposti con l'embargo. Nel messaggio segreto poi cifrato, compare dettagliatamente la portata dell’acquisto; 44.000 tonnellate (ben 321.000 barili) dall’Associated Oil Company. Peraltro il dispaccio diplomatico terminava concludendo: “I rivenditori di petrolio americano della zona di San Francisco che vendono alla Mitsui e alla Mitsubishi, dei quali il principale è l’Associated Oil Company, credono che non ci sarà alcuna difficoltà nel continuare la spedizione di comune carburante al Giappone” (ibidem).
Allo storico cablogramma diplomatico, fanno poi da inquietante contorno le registrazioni militari USA a proposito delle rotte di carico e scarico regolarmente effettuate dalle petroliere dirette in Giappone. E poiché, i servizi informativi americani monitorarono costantemente i movimenti delle navi da trasporto nipponiche su esplicito ordine della Casa Bianca, è legittimo supporre che Roosevelt, non poteva non sapere cosa stava realmente accadendo.
Le navi con il prezioso carico di oro nero americano erano dirette verso il deposito petrolifero di Tokuyama. E solo nel periodo compreso tra il luglio 1940 e l’aprile 1941 risulta accertato che i rifornimenti petroliferi “americani” ammontarono a quasi 9.200.000 barili.
Tutte le rotte degli approvvigionamenti giapponesi vennero intercettati e schedati dai radiogoniometri militari americani dalla Stazione SAIL, il centro di controllo del Navy’s West Communication Intelligence Network (sistema dei servizi informativi di comunicazione della costa occidentale della Marina USA, WCCI) ubicata vicino Seattle. Gli impianti radio della Mackay Radio & Telegraph, Pan American Airways, RCA Communications e Globe Wireless fornirono ulteriori preziose informazioni.
L’ampio ed efficientissimo sistema di monitoraggio USA si estendeva lungo tutta la costa occidentale, da Imperial Beach in California sino a Dutch Harbor in Alaska [32].
In conclusione quindi, i servizi informativi e il Presidente dovevano sapere perfettamente che la maggior parte del petrolio giapponese proveniva dall’impianto di raffinazione californiano della Associated Oil Company di Port Company. Un continuo andirivieni di navi da trasporto portò infatti il prezioso carburante direttamente a Tokuyama, la principale base di rifornimento della flotta militare giapponese.
Qualcuno però si accorse per tempo di quanto stava effetivamente avvenendo dietro le verità ufficiali e denunciò il fatto pubblicamente. Così, accadde che proprio mentre Roosevelt si dava affanno nell’apparire un Presidente pacifista dinanzi alla Nazione, il deputato del Missouri Philip Bennet rilasciò la seguente eloquente dichiarazione: “…..Ma i nostri ragazzi non verranno mandati all’estero, dice il Presidente. Sciocchezze, signor Presidente; Già ora si sta provvedendo a preparargli le cuccette sulle nostre navi da trasporto. Gia ora i cartellini per l’identificazione di morti e feriti vengono stampati dalla ditta di William C. Ballatyne & Co. di Washington” [12].
E anche se all’epoca dei fatti tale affermazione “fuori dal coro” di P. Bennet passò quasi completamente inosservata, le indagini storiche del dopoguerra gli hanno conferito pienamente ragione. Roosevelt, come tutti i politici a cui è stato consentito l'accesso alle “stanze dei bottoni”, non fece altro che obbedire alle direttive dell’alta finanza, ovvero, ottemperò scrupolosamente agli ordini degli “invisibili” magnati a cui i popoli pagano il debito pubblico attraverso le tasse. Illuminante in tal senso, l’amara considerazione personale di Curtis Dall, il genero di F.D. Roosevelt,: “Per molto tempo pensai che (Roosevelt)...avesse nutrito molti pensieri e progetti a beneficio del suo paese, gli USA. Ma non era così. La maggior parte dei suoi pensieri, le sue “cartucce” politiche, per così dire, erano state attentamente fabbricate per lui dal Consiglio sulle relazioni estere/Gruppo finanziario per un mondo unito (CFR= Rockfeller, Rothschild & co – specificaz. Dell'autore.). Brillantemente e con grande slancio, come fossero un bel pezzo d'artiglieria, egli sparò quelle “cartucce” prefabbricate in mezzo a un bersaglio inaspettato, il popolo americano, e così comprò e confermò il suo rapporto politico internazionalista” [13].
E a dispetto di ciò che continua ad affermare la storia patinata della versione ufficiale, non rimane quindi che svelare chi erano e che intenzioni avevano i potenti “consiglieri” di F.D.R. che tanto ascendente avevano su di lui….
Un accenno alla regia occulta
Dietro i protagonisti ufficiali della storia che abbiamo studiato nelle c.d. “scuole” dell’obbligo, operano senza mai apparire, i membri e i programmi della vera casta di comando, i c.d. “poteri forti”. Una elite di persone che gestisce il potere da padre in figlio e che da secoli tiene letteralmente sotto controllo l’economia (e quindi anche la politica) delle nazioni. Sono i proprietari esclusivi delle banche centrali, delle assicurazioni, dei monopoli energetici, dell’industria e dei grandi canali d’informazione. I suoi rappresentanti non si riconoscono realmente in alcuna specifica nazionalità poiché si ritengono al di sopra di qualunque di essa, considerandosi a tutti gli effetti i veri signori del mondo. Ed ecco a tal proposito cosa ebbe a dichiarare già nel lontano 1733, un illustre esponente dei grandi casati finanziari che oggi possiedono letteralmente le banche centrali, il finanziere Amschel Mayer Bauer Rothschild (capostipite dell’impero Rothschild): “La nostra politica è quella di fomentare le guerre, ma dirigendo conferenze di pace, in modo che nessuna delle parti in conflitto possa ottenere guadagni territoriali. Le guerre devono essere dirette in modo tale che le Nazioni, coinvolte in entrambi gli schieramenti, sprofondino sempre più nel loro debito e, quindi, sempre più sotto il nostro potere” [14].
Dal quel remoto 1733 però, il tempo non sembra essere passato invano e gli strumenti dei manipolatori sono stati affinati. Nella storia contemporanea sono sorte infatti vere e proprie istituzioni paragovernative che lavorano a porte chiuse per realizzare i programmi di dominio dell’alta finanza. E come intuito da Curtis Dall, una di queste moderne organizzazioni che maggiormente diresse l’operato di Roosevelt è il CFR (Council on Foreign Relations). Una sedicente organizzazione “filantropica” fondata nel 1921, con il finanziamento della famiglia Rockefeller. Alla costituzione del CFR parteciparono 650 “eletti”, “il Gotha del mondo degli affari" [15] e suoi membri di spicco furono sempre all’ombra del Presidente americano di turno. Ed è quindi proprio a costoro che si deve attribuire la vera paternità del protocollo McCollum. In qualità di ministro della guerra di Roosevelt ad esempio, agiva in “prima linea” Henry Stymson, un personaggio che “guarda caso” era anche uno dei membri fondatori del CFR. Il suo coinvolgimento nel piano di provocazione, emerge chiaramente dalle righe del suo stesso diario: “Affrontiamo la delicata questione di come realizzare una schermaglia diplomatica che faccia apparire il Giappone dalla parte del torto e gli faccia compiere, scopertamente, il primo passo falso” [16]. E sempre a tal proposito, lo scrittore George Morgenstern, ha pubblicato il libro “Pearl Harbor, The Story Of The Secret War” in cui è stato esaustivamente documentato come il Giappone venne trascinato in guerra dalla strategia d'azione dei membri del CFR.
Poiché come noto, a molte guerre corrispondono molti soldi e infinito potere per gli oscuri signori dell'alta finanza. Una volta conclusi i conflitti, saranno infatti sempre loro a decidere le condizioni di riparazione della nazione di turno che è stata messa in ginocchio. Ai popoli di entrambe le parti belligeranti invece, non resterà che l’amaro compito di leccarsi le ferite tra un camposanto e l'altro, aspettando di sapere quanto dovranno pagare per le spese di guerra (“vinta” o persa che sia). Con l’ingresso dell’America nel secondo conflitto mondiale avvenne infatti un colossale trasferimento di ricchezza dalla casse pubbliche a quelle private; Il bilancio federale USA a cavallo del decennio 1930-1939 era di “appena” 8 miliardi di dollari l’anno, nel 1945 invece, il debito per sostenere la guerra fece impennare i grafici contabili fino 303 miliardi di quota. Il costo globale del conflitto (nei soli termini economici) sostenuto dagli americani, fu ufficialmente di 321 miliardi di dollari, più del doppio di quanto il governo federale aveva “scucito” ai contribuenti nei 152 anni di storia che vanno dal 1789 al 1941 [17]. Gli eventi bellici peraltro, non rappresentano solo il grande business dei banchieri, ma sono anche un subdolo ed efficacissimo strumento di azione politica. Vengono infatti concepiti a tavolino come formidabile pretesto per instaurare a guerra finita, gli assetti politici e sociali a loro più congeniali. Si muovono a piccoli passi per realizzare il progetto secolare del “nuovo ordine mondiale”. Uno scopo che del resto trapela esaustivamente dalle stesse parole pronunciate da James Warburg (insigne esponente dei poteri forti) solo pochi anni dopo la fine della seconda guerra mondiale:
"Che vi piaccia o no, avremo un governo mondiale, o col consenso o con la forza".[18]
Tra gli altri invisibili personaggi della storia che “suggerirono” a Roosevelt gli obiettivi da raggiungere durante la sua presidenza, compare il nome eccellente di Bernard M. Baruch. Un illustre membro dell’alta finanza e del CFR che presiedette al Comitato delle industrie belliche durante la Prima guerra mondiale e che poi negoziò anche le condizioni delle riparazioni tedesche nel trattato di Versailles [19]. La sua autorevolissima voce venne sempre e perentoriamente ascoltata dai presidenti americani.
Nato in Texas nel 1870 da un agiatissimo esponente del Ku Klux Klan, l'ultra miliardario Bernard Mannes Baruch divenne il “consigliere” di ben sei presidenti USA. Dal massone [20] Woodrow Wilson (1912) al massone Eisenhower (1950), fu sempre lui ad esempio a “persuadere” il Presidente Wilson circa la necessità di coinvolgere l’America nella prima guerra mondiale. E persino la creazione di un organo governativo volto esclusivamente a sostenere lo sforzo bellico americano fu una sua idea. Nulla di strano quindi se al nuovo ente vennero conferiti ampi poteri speciali nella pianificazione della produzione industriale. Come del resto è naturale, che a capo di esso finì per essere nominato proprio lui, Bernard Baruch, il mentore del Presidente.
Una volta al comando del “War Industry Board”, tutte le commesse relative al materiale bellico e logistico passarono nelle sue mani, dagli stivali ai mezzi corazzati. Affari d’oro che non si limitarono agli approvvigionamenti americani ma che si estesero in buona misura anche agli ordinativi degli altri eserciti alleati. E come denunciò nel 1919 dalla Commissione Investigativa del Congresso (guidata dal senatore W. J. Graham) che indagò sui profitti che quell’organo rese possibili, si trattò di: “un governo segreto…sette uomini scelti dal Presidente hanno concepito l’intero sistema di acquisti militari, programmato la censura sulla stampa, creato un sistema di controllo alimentare…dietro porte chiuse, mesi prima che la guerra fosse dichiarata” [21].
In seguito, fu possibile ripetere tale collaudato “modus operandi” grazie ai “consigli” che Baruch diede al presidente F. D. Roosevelt, nella guerra contro Hitler: questa volta però l’organo pianificatore si chiamò War Production Board. A dirigerlo venne nominato Harry Hopkins, un uomo di fiducia del signor Baruch, (ibidem).
La decriptazione dei codici giapponesi
Tornando alle circostanze militari che condussero all’attacco di Pearl Harbor, già a partire dall’ultima settimana del settembre 1940, un esperto team di crittografi americani riuscì a decodificare entrambi i principali codici segreti utilizzati dai Giapponesi. Tutte le comunicazioni diplomatiche riservate vennero quindi tradotte con il “codice Purple” mentre i dispacci militari nipponici segreti poterono essere interpretati con il codice “Kaigun Ango” in tempi sufficientemente brevi. La riuscita decodificazione dei codici però, venne mantenuta nel massimo riserbo anche tra le stesse autorità militari USA, in quanto, come anzidetto, si fece in modo che i dispacci dei servizi informativi giungessero direttamente al Presidente [22].
Le reali potenzialità dell’intelligence USA vennero “a galla” solo più tardi, grazie alle rivelazioni del contrammiraglio Royal Ingersoll, assistente capo delle operazioni navali. Egli spiegò infatti che già prima di Pearl Harbor i servizi informativi americani erano in grado di scoprire in anticipo la strategia navale di guerra e le operazioni tattiche del Giappone [33]. Una verità esplosiva documentata da una lettera scritta il 4 ottobre 1940 e indirizzata da Ingersoll ai due ammiragli James Richardson e Thomas Hart. La missiva, estremamente chiara e dettagliata, precisava che la marina americana iniziò il rilevamento dei movimenti e delle posizioni delle navi da guerra giapponesi nell’ottobre 1940: “Ogni spostamento rilevante della flotta dell’Orange (che nel codice USA significava Giappone) è stato previsto ed è disponibile un flusso continuo di informazioni riguardanti le attività diplomatiche dell’Orange” [23].
Peraltro come vedremo, i giapponesi, furono protagonisti di talmente tanti errori madornali nell’effettuare le loro comunicazioni riservate, che diventa davvero difficile poi riuscire a credere nella versione ufficiale dell'attacco a “sorpresa”.
L'ammiraglio giapponese Yamamoto infatti, ruppe imprudentemente il silenzio radio il 25 novembre 1941. I messaggi in questione ordinavano alla 1° flotta aerea di prendere il volo il 26 novembre dalla base di Hitokappu per dirigersi in acque Hawaiiane e attaccare così la flotta americana all'ancora di Pearl Harbor. Precisò addirittura latitudine e longitudine della rotta da percorrere [24].
Come noto, l’attacco venne poi rimandato al 7 dicembre, ma ciò non toglie che i servizi informativi americani sapessero ormai quali fossero le reali intenzioni giapponesi. E come minimo, la base di Pearl Harbor avrebbe dovuta essere stata posta in stato di allerta. Ma ecco qui di seguito riprodotto il testo letterale dei due messaggi intercettati dai sevizi informativi americani:
1) “Il 26 novembre l'unità operativa, mantenendo strettamente riservati i suoi movimenti, deve lasciare di Hitokappu e giungere al 42° di latitudine nord per 170° di longitudine est nel pomeriggio del 3 dicembre e completare velocemente il rifornimento” [25].
2) “L'unità operativa, mantenendo strettamente riservati i suoi movimenti e ponendo estrema attenzione a sottomarini e velivoli, deve avanzare in acque Hawaiiane e alla vera apertura delle ostilità attaccare la forza principale degli Stati Uniti alle Hawaii infiggendole un colpo mortale (neretto dell’autore). Il primo attacco aereo è previsto per l'alba del giorno X. La data esatta sarà fornita in un ordine successivo. Una volta completato l'attacco aereo, la forza operativa, mantenendo una stretta collaborazione e prestando attenzione al contrattacco nemico, dovrà abbandonare velocemente le acque nemiche e fare rotta verso il Giappone. Se i negoziati con gli Stati Uniti avranno esito positivo, l'unità operativa dovrà essere pronta a tornare immediatamente a radunarsi”.
Paradossalmente però, solo gli uomini di fiducia del Presidente erano stati autorizzati a seguire l’ evoluzione della crisi con il Giappone. Ed è probabilmente proprio per tale motivo che quel fatidico 7 dicembre 1941, il “miracolato” ammiraglio Anderson (ex direttore dei servizi informativi e stretto collaboratore di Roosevelt) sopravvisse indenne all’attacco. Egli infatti, al momento dell’incursione aerea non si trovava a bordo di nessuna delle sue navi da guerra, ma al sicuro nella sua tranquilla residenza di Diamod Head.
Per un’altra “strana” ironia della sorte, la stazione di monitoraggio americano delle Hawaii (la c.d. stazione cinque) era proprio uno dei principali centri d’intercettazione dei messaggi in codice Purple giapponesi. E ciononostante, la strage non poté essere evitata, poiché, come già ampiamente chiarito, i messaggi giapponesi, una volta decriptati venivano inviati direttamente al Presidente, senza passare quindi per l’alto comando locale. Una circostanza per così dire “anomala” che fece da preludio al sacrificio umano di migliaia di americani.
A denunciare le “stranezze” della catena informativa ci sono le proteste documentate e archiviate dell’ammiraglio Kimmel. Il quale, al sopraggiungere della primavera del 1940, si rese conto di essere stato tagliato fuori dal servizio informativo. A provarlo c’è la sua richiesta del 18 febbraio 1940 rivolta all’ammiraglio Stark per ottenere che venisse nominato un responsabile dei servizi a cui fare capo per risolvere la “confusione”. Lo scopo di Kimmel naturalmente, era quello di ottenere che qualche ufficiale qualificato gli facesse pervenire i rapporti di natura segreta [26] senza “malintesi”.
La risposta di Stark però, arrivò solo dopo un mese circa, esattamente il 22 marzo. In essa veniva perentoriamente affermato quanto segue: “I servizi segreti della Marina sono pienamente consapevoli della loro responsabilità di tenervi adeguatamente informato” [27]. Ma siccome Kimmel fino a quel momento non aveva mai ricevuto alcuna informazione “sensibile”, dovette prendere atto che si trattava solo di rassicurazioni del tutto formali. In sostanza era stato totalmente escluso dal circuito informativo per ordini che potevano provenire solo dalla Casa Bianca. Tuttavia, cosciente della gravità del pericolo che correva la sua flotta, decise comunque di esercitare nuove pressioni ufficiali. E dopo aver atteso invano un cambiamento della situazione fino al 26 maggio 1940, inviò una ulteriore richiesta direttamente ai servizi informativi. Il messaggio recitava quanto segue: “Informare immediatamente il comandante in capo della flotta del Pacifico di tutti gli sviluppi importanti attraverso i mezzi più rapidi a disposizione (ibidem).
Nel cablogramma, l’ammiraglio sottolineò persino che la sua esigenza di essere tempestivamente informato, era da ritenersi un “principio militare cardine” (ibid p.58). Ma anche quest’ultimo tentativo si rivelò vano, e al termine del luglio 1941 Kimmel poté constatare amaramente, di essere stato ormai definitivamente escluso dall’intelligence.
Alla fine della guerra Kimmel dichiarerà infatti: “Non comprendo e non comprenderò mai perché io sia stato privato delle informazioni disponibili a Washington” (ibid p.57).
Dalla testimonianza dell’ammiraglio che fu il comandante in capo della flotta nel Pacifico, si può quindi ragionevolmente concludere che il popolo americano e la maggior parte dei suoi alti ufficiali venne tenuta completamente all'oscuro dei reali retroscena che determinarono la guerra. Le registrazioni, le testimonianze e i documenti che lo rivelano vennero tutte “incredibilmente” ignorate dalle varie indagini che si svolsero tra il 1941 e il 1946 fino agli accertamenti congressuali del 1995. Ma le prove di una cospirazione a danno delle nazioni ci sono e aspettano solo di trovare udienza nei circoli mediatici di massa. Ambedue i messaggi di Yamamoto che ordinarono l’attacco su Pearl Harbor ad esempio, sono riportati testualmente nei libri scritti da alcuni ufficiali della Marina americana come: “Pearl Harbor” del vice-ammiraglio Homer N. Wallin e in “The Campaigns of The Pacific War” redatto dalla Divisione analisi navali del rilevamento bombardamenti strategici degli Stati Uniti.
Peraltro la stazione "H" dei servizi americani, intercettò e decriptò almeno altri 13 messaggi "sensibili" di Yamamoto, il cui testo è curiosamente risultato mancante dagli archivi della Marina. Sappiamo comunque per certo che furono trasmessi con il segnale di radio-chiamata RO SE 22 tra le 13.00 del 24 novembre e le 15.54 del 26 novembre, appena una decina di giorni prima dell’attacco giapponese (ibid p.66). Tutti i documenti originali in questione erano stati ceduti nel 1979 agli archivi nazionali del Presidente Jimmy Carter [28].
L'indagine ufficiale del Congresso, concluse invece che i servizi di spionaggio americano, “persero contatto” con le navi giapponesi nei giorni precedenti all’attacco (ibid p.67), in quanto queste, avevano scrupolosamente mantenuto il silenzio radio…
Ma a smentire la versione ufficiale esistono anche altre prove schiaccianti come le registrazioni dei servizi informativi olandesi. Dalla disamina di queste infatti, è stato appurato che gli ammiragli al comando delle navi da guerra giapponesi, violarono il silenzio radio rimanendo costantemente in contatto con Tokyo (ibid p.67). E quindi, tanto la loro posizione quanto le loro intenzioni furono necessariamente captate durante tutti i 25 giorni che vanno dal 12 novembre al 7 dicembre 1941, cioè sino alla data del fantomatico attacco a “sorpresa”. Peraltro uno dei messaggi intercettati il 18 novembre venne addirittura inviato “in chiaro” e in caratteri latini, quindi interpretabile anche senza codici.
Pertanto, la testimonianza del generale olandese Hein ter Poorten, smentì palesemente la versione ufficiale della commissione d’inchiesta. Egli, infatti non esitò a confermare che anche i suoi crittografi della “Kamer 14” (ibidem) possedevano prove che dimostravano una minacciosa concentrazione di navi giapponesi nei pressi delle isole Curili già alcuni giorni prima dell'attacco di Pearl Harbor.
Il resoconto rilasciato dall’ammiraglio Harold Stark davanti alla Commissione congressuale del 1945-6 attesta poi inequivocabilmente che quest’utlimo, al contrario dell’ammiraglio Kimmel, era stato informato del massiccio raduno giapponese nella baia di Hottokappu prima del 7 dicembre 1941 [29]. E come accertò ancora una indagine congressuale del 1945, il 3 dicembre 1941 (quindi 4 giorni prima dell'attacco giapponese), furono intercettati e decifrati altri messaggi che svelavano ( a chi ancora non lo avesse capito) la decisione giapponese di dichiarare la guerra agli Stati Uniti con un colpo di mano [30].
Anche le registrazioni originali di questi messaggi però, “sparirono misteriosamente” dagli archivi della Marina (ibidem): in ultima analisi, la commissione unica congressuale d'indagine sull'attacco a Pearl Harbor cercò solo di insabbiare le prove del complotto contro le nazioni.
"Ieri, 7 Dicembre, data che resterà simbolo di infamia, gli Stati Uniti d'America sono stati improvvisamente e deliberatamente attaccati da forze aeree e navali dell'impero giapponese...".
F.D.Roosevelt nel discorso alla Nazione dell'8 dicembre 1941
Marco Pizzuti (Primus)
Riferimenti
[1] Boston, 30 Ottobre 1940. Public Papers and address of Franklin D. Roosevelt, Macmillan, New York, volume del 1940, p.517
[2] Citaz. dal libro “Casebook On alternative 3” di Jim Keith, ediz. Il saggiatore, Milano 2001 p.26
[3] R. Stinnet “Il giorno dell’inganno”, p.26
[4] citaz. “Secret Societies” p.210 – Il testo originale del cablogramma originale di Grew che il ministro degli esteri ricevette alle 6.38 di lunedì 27 gennaio 1941 –ora dell’est degli USA- in PHPT 14, pag. 1042
[5] “Il giorno dell’inganno”, p.50
[6] Cfr. Richardson, James O., On The Treadmill To Pearl Harbor, Naval History Division, Department of the Navy, Washington DC 1973, p.435
[7] Secondo l’ammiraglio Stark, F.D.R. le definì “missioni a sorpresa, cfr Simpson, B. Mitchell III, Admiral Harold R. Stark, University of South Carolina Press, 1989, p.101-2
[8] L’ammiraglio H. Kimmel il 18 febbraio 1941 scrisse a Stark affermando che l’invio degli incrociatori “era il peggior consiglio” possibile, PHPT 33-1199
[9] La prima ebbe inizio nei giorni tra il 15 e il 21 marzo 1941 e comportò l’invio delle navi americane nelle acque adiacenti a quelle giapponesi. Cfr. Il viceammiraglio John H. Newton riferì in sede d’indagine che gli ordini ricevuti erano estremamente riservati e diretti a lui a voce, PHPT 26-340. In realtà il segreto riguardò solo la stampa americana in quanto diversi rotocalchi australiani pubblicarono la notizia irritando maggiormente i giapponesi. La seconda missione condusse le navi da guerra USA nella regione del Pacifico meridionale e centrale adiacente ai territori orientali controllati dal Giappone: cfr RG 24, giornali di bordo delle navi americane Salt Lake City e Northampton, luglio e agosto 1941, Archives II.3. Il terzo passaggio riguardò lo stretto di Bungo - cfr. Serial 220230 cit. ottenuta su concessione del gennaio 1995, Archives II.
[10] “Il giorno dell’inganno”, p.38
[11] Ddal rapporto del Consolato giapponese di San Francisco, 16 settembre 1940; cfr. appendice D
[12] Citaz. A.H. M. Ramsey in The Nameless War p.75
[13] “Casebook On Alternative 3", p.25
[14] Antonella Randazzo “Dittature, la storia occulta”, p.168, ediz. Nuovo Mondo, Padova, 2007
[15] Maurizio Blondet, Complotti - I fili invisibili del mondo - I. Stati Uniti, Gran Bretagna, Il Minotauro, Milano, II ediz., 1995, pag. 98
[16] “Casebook On Alternative 3", p.25
[17] Mollenhoff Clark R., “Il Pentagono”, Gherardo casini editore, Roma 1968, pp.80-81
[18] James Warburg, banchiere, alla Commissione Esteri del Senato, 17 febbraio del 1950
[19] da “Schiavi delle banche”, M. Blondet, Effedieffe
[20] “La faccia nascosta della storia”, Piero Mantero, Edizioni segno, 1997, p.17
[21] da: “Schiavi delle banche”, ediz. Effedieffe, Maurizio Blondet, 2004
[22] “Il giorno dell’inganno”, p.39
[23] cfr. RG 38, CNO Secret Serial 081420 del 4 ottobre 1940, SRH (special research history) 355, vol. I pagg. 395-397
[24] “Il giorno dell’inganno” p.65
[25] sulla prima spedizione di Yamamoto, cfr. Wallin, capitano Trapnell, F.M., capitano Russel, J.S. E capitano di corvetta Field, J.A. A cura di “The campaignh of Pacific War”, United States Strategic Bombing Survey, Naval Analysis Division, USGPO, Washington, 1946, pag.50
[26] cifrato PHPT 4, p.1792
[27] “Il giorno dell’inganno” p.58
[28] I tredici messaggi radio mancanti di Yamamoto possono essere recuperati utilizzando il numero del messaggio SMS (Secret Message Series) dal file di intercettazione della stazione H in RG 45, MMRB, Archives II
[29] “Il giorno dell’inganno”, p.68
[30] “La verità vi renderà liberi”, D. Icke, p.139
[31] "Il giorno dell'inganno", p.33
[32] per le strutture commerciali cfr. Commandant, 11 distretto navale, serie segreta C-76 del 4 aprile 1940, RG 181, scatola 196741, National Archives, Laguna Niguel, California
[33] "Il giorno dell'inganno", p.40
Riguardo allo storico attacco di Pearl Harbor, i libri di scuola, i film, i documentari e tutti i reportage storici allineati alle versioni ufficiali ci hanno raccontato solo una verità di comodo. Attraverso i canali d’informazione istituzionali è stato ripetuto fino alla nausea che nel 1941 un brutale attacco aereo giapponese a sorpresa annientò la flotta americana del pacifico, lasciando sul campo migliaia di vittime innocenti. Tale versione dei fatti venne diramata dalla Casa Bianca allo scopo di scatenare l’indignazione del popolo americano. Da qui, a legittimare la sua chiamata al fronte come un dovere morale, il passo è stato molto breve.
Sono passati molti anni da quel drammatico 7 dicembre 1941, ma la storia continua a riemergere inquietante, come il cadavere di un omicidio che non vuole affondare. Le numerose inchieste pubbliche e private condotte su Pearl Harbor sembrano infatti avere raccolto ormai sufficiente materiale probatorio per ricostruire una volta per tutte, il vero corso degli eventi in questione.
La censura della storia
Il Giappone, contrariamente a quanto viene convenzionalmente accettato nella letteratura istituzionale didattica mondiale, venne deliberatamente provocato a reagire militarmente da F. D. Roosevelt in tutti i modi possibili. Tale strategia d’azione fu definita nero su bianco nel riservatissimo piano McCollum [34], uno scottante documento che alcuni ricercatori storici sono riusciti a rendere di pubblico dominio.
Nel corso del tempo, sono infatti emerse numerose prove che dimostrano come i servizi dell’intelligence americana riuscirono a decriptare tempestivamente tutti i piani dell’imminente attacco giapponese. La strage di Pearl Harbor quindi, poteva essere evitata e con essa naturalmente, anche la partecipazione dell’America alla guerra. A confermarlo, ci sono persino le testimonianze rese da alti ufficiali della marina americana (come ad es. quella dell’ammiraglio Husband Kimmel o del tenente generale Richardson).
Ed è proprio da questi ultimi infatti che è partita la “prima pietra dello scandalo”. Le loro versioni sulla vicenda, sono oggi disponibili in molte dettagliatissime pubblicazioni, a cominciare, da “Il giorno dell'inganno” di Robert B. Stinnet (pluridecorato USA per il valore militare 42'- 46').
Pertanto, le fonti delle informazioni che sono alla base delle accuse contro Roosevelt, non sono costituite (come qualcuno potrebbe pensare) dalle malsane elucubrazioni di estremisti anti-americani, ma come anzidetto, provengono direttamente dagli archivi militari USA e/o dagli stessi ufficiali della marina che prestarono servizio durante la guerra del Pacifico.
Le ragione di questa situazione per così dire “anomala” è in realtà molto semplice da spiegare. Il piano McCollum caldeggiato da Roosevelt, ha rappresentato un crimine commesso contro tutte le nazioni che poi sono state chiamate alle armi. Quindi la prima vittima di questa tipologia di complotti è sempre stata il popolo, non da ultimo, proprio quello americano, ammiragli compresi.
Ecco perché tra i cosiddetti “anti-americani” che si oppongono alla versione ufficiale su Pearl Harbor compaiono anche i nomi “ingombranti” di autorevoli studiosi e testimoni a stelle e strisce. Molti di loro infatti, compresero perfettamente che il vero nemico della pace non veniva dal lontano Pacifico ma si annidava invece nella stessa America, tra i membre della Casa Bianca e quelli dei lussuosi uffici di Wall street. Di conseguenza, le generiche accuse di anti-americanismo rivolte contro chiunque cerchi di portare a galla la verità su Pearl Harbor risultano essere veramente fuori luogo.
Viceversa, le prove contro il governo Roosevelt, pesano come un macigno che nessun perito della commissione ufficiale d’inchiesta è riuscito a smuovere di un millimetro.
La flotta USA, avrebbe potuto tranquillamente essere messa in salvo, ma si fece l’esatto opposto, affinché migliaia di soldati americani trovassero la morte sotto le bombe giapponesi. Perché? La risposta è tanto chiara quanto scandalosa. Il vero obiettivo di Roosevelt era quello di creare il roboante casus belli di cui avevano bisogno i poteri forti per coinvolgere la nazione americana nel conflitto.
E dallo stesso momento in cui venne deciso che le navi da guerra USA, con tutto il loro carico umano sarebbero serviti da esca, la base di Pearl Harbor venne deputata a questa funzione sacrificale. Quello che accadde dopo fu solo la cronaca di una strage annunciata.....
Il Giappone quindi non solo si trovò a dover sopportare le gravi azioni di provocazione messe in atto con il piano McCollum, ma venne anche “indotto in tentazione” dallo stesso Roosevelt che “suggeriva” ai generali nipponici la soluzione della crisi con un colpo di mano. Come? Semplicemente “porgendo il fianco” della sua flotta al nemico. Le navi da guerra americane infatti vennero costantemente mantenute in zona di pericolo per ordine diretto del Presidente. Il comando giapponese fu così spinto a credere di dover approfittare di un occasione irripetibile per cercare di vincere una guerra ormai inevitabile contro il gigante americano. Ma cadde solo nella trappola…
Una regia occulta
Come verrà illustrato nel prosieguo, dietro le dinamiche degli eventi bellici è sempre possibile intravedere l'ombra cupa dei poteri forti, una realtà che emerge sconcertante tutte le volte che si effettuano dei reali approfondimenti. In pochi ne parlano apertamente, ma sono solo questi a manipolare tanto il corso della storia quanto il mondo dell’informazione. Sono talmente potenti che possono permettersi il lusso di insabbiare tutti i loro crimini senza mai apparire come primi attori. E le grandi inchieste ufficiali troppo spesso servono solo a manipolare l’opinione pubblica, mentre al contempo, le fonti d’informazione non controllate (come le piccole case editrici o i siti internet) vengono demonizzate e messe alla berlina nel circolo mediatico di più larga diffusione.
Come è cambiata l’America dopo Pearl Harbor
Prima del fatidico 7 dicembre 1941, l’88% della popolazione americana (sondaggio realizzato in America nel settembre 1940) era contraria a mandare i propri figli a morire per una guerra lontana [31] e il signor F. D. Roosevelt, proprio come il signor W. Wilson, venne eletto Presidente grazie alla promessa che non avrebbe mai trascinato la nazione in un conflitto.
Ecco infatti, cosa dichiarò pubblicamente ai suoi elettori F.D. Roosevelt: “… e mentre sto parlando a voi, madri e padri, vi do un’altra assicurazione. L’ho già detto altre volte, ma lo ripeterò all’infinito. I vostri ragazzi non verranno mandati a combattere nessuna guerra straniera...[1]
Ma nonostante queste buone dichiarazioni d’intenti volte solo ad accattivarsi il consenso di un America pacifista, il procurato attacco giapponese e il conseguente bagno di sangue di Pearl Harbor, provocarono una ondata emotiva tale che l’opinione pubblica americana mutò repentinamente atteggiamento, optando, come cinicamente previsto, a favore dell’intervento militare. In sostanza, senza un episodio come quello di Pearl Harbor, l’amministrazione americana non avrebbe mai potuto trascinare il paese in guerra e il Presidente Roosevelt avrebbe dovuto, “suo malgrado”, mantenere le promesse fatte alla nazione.
Il piano McCollum
Grazie al Freedom of Information Act promosso dal parlamentare USA John Moss, molti ricercatori indipendenti hanno potuto trovare accesso ad uno straordinario numero di documenti sulla guerra del Pacifico. Dallo studio accurato di questi è poi emersa tutta la verità sconcertante;
Si viene così a sapere che già il 7 ottobre del 1940, nel quartier generale della Marina di Washington, circolò un bollettino destinato a compromettere per sempre l’amministrazione Roosevelt nella premeditazione della guerra. Il dispaccio proveniva dall’ufficio dei servizi informativi ed era indirizzato a due dei più fidati consiglieri del Presidente, i capitani della Marina Walter S. Anderson e Dudley W. Knox. Al suo interno recava la sottoscrizione in calce del capitano di corvetta Arthur H. McCollum, un militare esperto dei costumi del “sol levante”. Quest’ultimo infatti, aveva trascorso diversi anni della sua vita in Giappone e ne conosceva perfettamente la cultura. Si poneva quindi come l’uomo adatto per studiare una strategia di provocazione.
McCollum elaborò così un piano che prevedeva otto diverse modalità d’azione per ingaggiare una guerra con il Giappone. Il documento si componeva di cinque pagine e in esso si faceva esplicito riferimento alla creazione di quelle condizioni che avrebbero costretto i giapponesi ad una reazione armata contro gli USA.
Una volta che questa si fosse verificata, la nazione americana si sarebbe ritrovata automaticamente impelagata nell’intero conflitto mondiale. Proprio ciò che volevano gli oscuri signori della guerra in doppiopetto e bombetta. La stipula del famoso patto tripartito (siglato a Berlino il 27 Settembre 1940), garantiva infatti alle forze dell’asse (Germania, Italia, Giappone) mutuo soccorso reciproco durante tutto il conflitto.
Le operazioni da seguire per raggiungere questo obiettivo sono qui di seguito sinteticamente elencate:
1. Accordarsi con la Gran Bretagna per l’utilizzo delle basi inglesi nel Pacifico, soprattutto Singapore.
2. Accordarsi con l’Olanda per utilizzare le attrezzature della base e poter ottenere provviste nelle Indie orientali olandesi (l’attuale Indonesia).
3. Fornire tutto l’aiuto possibile al governo cinese di Chiang Kai-Shek.
4. Inviare in Oriente, nelle Filippine o Singapore, una divisione di incrociatori pesanti a lungo raggio.
5. Spostare le due divisioni di sottomarini in Oriente.
6. Tenere la flotta principale degli Stati Uniti, attualmente nel Pacifico, nei pressi delle isole Hawaii.
7. Insistere con gli olandesi affinché rifiutino di garantire al Giappone le richieste per concessioni economiche non dovute, soprattutto riguardo al petrolio.
8. Dichiarare l’embargo per tutti i commerci con il Giappone, parallelamente all’embargo dell’impero Britannico.
- Il bollettino McCollum delle otto azioni è stato scoperto da Robert B. Stinnet t il 24 gennaio 1995 nella scatola n.6 di una speciale raccolta della Marina degli Stati Uniti, RG 38, Modern Military Record Branch degli Archives II. - [34]
Le altre prove del complotto
Ciò premesso, la versione ufficiale ha escluso comunque qualsiasi tipo di coinvolgimento del Presidente Roosevelt in un complotto contro le nazioni. Una conclusione “politica” che però non trova alcun fondamento nella storia. Roosevelt venne infatti complessivamente informato del “pericolo” di un imminente attacco giapponese da almeno ben otto fonti diverse [2]. Inoltre, il 27 e il 28 novembre 1941, gli alti ufficiali americani ricevettero un ordine che la dice lunga sulle vere intenzioni del governo Roosevelt : “Gli Stati Uniti desiderano che il Giappone compia il primo atto diretto” [3]. Un comunicato questo che, stando alla testimonianza del ministro della guerra Henry L. Stimson venne emanato direttamente da Roosevelt (anche se in realtà, come verrà chiarito in seguito, Stimson cercò solo di scaricare tutti i dubbi e le ombre di cospirazione sul Presidente).
Eclatante a tal proposito anche il messaggio scritto al Segretario di Stato Cordell Hull dall'ambasciatore americano a Tokyo, Joseph Grew il 27 gennaio 1941. Nella riservatissima missiva che C. Hull si affrettò a distribuire ai servizi informativi (e quindi anche direttamente al Presidente) si leggeva infatti a chiare lettere che in caso di guerra, Pearl Harbor sarebbe stato il primo bersaglio [4].
Ma ecco cosa affermava esattamente il testo del cablogramma in questione [5]: “Un collega peruviano ha rivelato a un membro del mio staff di aver sentito diverse fonti, compresa una fonte giapponese, che le forze militari giapponesi hanno progettato, in caso di problemi con gli Stati Uniti, di tentare un attacco a sorpresa su Pearl Harbor impiegando tutte le strutture militari a loro disposizione. Ha aggiunto inoltre che, sebbene il piano possa sembrare una fantasia, il fatto che lo abbia sentito da più parti lo ha indotto a passare l’informazione. - Grew”
E se come anticipato, l’intelligence USA era in grado di decriptare i messaggi in codice giapponesi già molto tempo prima di Pearl Harbor, il Presidente deve necessariamente avere conosciuto con largo anticipo, le modalità con cui sarebbe avvenuto l’attacco a “sorpresa” giapponese.
Al contrario, i comandanti del contingente americano direttamente interessato, e cioè l’ammiraglio Husband Kimmel e il tenente generale Walter Short, vennero tenuti completamente all’oscuro di quanto stava realmente accadendo, onde evitare che potessero adottare le opportune contromisure (come ad es. reclamare uno spostamento della flotta in una zona più sicura). Il giorno dell’attacco infatti, nella base di Pearl Harbor non era stato neppure proclamato lo stato d’allerta e le perdite umane furono spaventose. Si verificò così, proprio quella strage degli innocenti che serviva all’amministrazione americana per mobilitare l’indignazione del popolo americano. Il bollettino di guerra fu straziante, sette navi da guerra affondate all’ancora, 2273 morti (tra civili e militari) e 1119 feriti.
Quando vennero aperte le prime indagini nella commissione d’inchiesta del 1946, fu esclusa ufficialmente qualsiasi responsabilità diretta di D. F. Rosevelt sulla base dell’assunto che il Presidente non sarebbe mai venuto a conoscenza del piano McCollum. Tuttavia, esiste ormai un castello di prove che dimostra l’esatto opposto. E per fare maggiore chiarezza, basti dire che le perizie scientifiche svolte sul famoso protocollo hanno accertato la presenza delle sue impronte digitali su ognuna delle cinque pagine del piano [3]. In un processo “normale”, tale materiale probatorio, sarebbe stato sufficiente a far condannare chiunque oltre ogni ragionevole dubbio.
Roosevelt peraltro, ordinò di spostare buona parte della flotta USA alle Hawaii proprio il giorno successivo alla divulgazione del suddetto bollettino e quindi in completa ottemperanza al piano McCollum. Tale disposizione della casa bianca infatti, non poteva essere connessa ad alcun altra strategia militare razionale se non quella della provocazione.
Le proteste degli alti ufficiali
Il trasferimento di preziose unità navali americane nelle acque del Pacifico risultò quindi talmente incomprensibile agli alti ufficiali di marina che prima di essere accettato dovette scontrarsi con le animose proteste dell’ammiraglio Richardson qui di seguito riportate testualmente: “Signor Presidente, gli ufficiali più anziani della Marina non hanno la fiducia nella guida civile di questo paese…” [6].
Richardson dimostrò risolutamente tutto il proprio disappunto, in quanto da buon ufficiale di marina, sapeva bene che stanziare la flotta nelle acque delle Hawaii sarebbe stato interpretato dal comando giapponese come un chiaro atto di ostilità, o meglio come i preparativi per un’aggressione. Proprio ciò che Richardson, per lealtà al suo paese avrebbe voluto evitare.
Il documento programmatico di McCollum del resto, non lasciava dubbi di sorta circa le sue reali finalità provocatorie. E in particolar modo alla lettera D, dove contemplava addirittura l’invio di navi da guerra americane nelle acque territoriali giapponesi o appena fuori di esse.
Durante i riservatissimi briefing militari che si tennero alla Casa Bianca, Roosevelt infatti, si dimostrò irremovibile sulla necessità di porre in atto simili azioni. Non accettò mai alcuna obiezione o variazione del piano. E dopo avere programmato gli sconfinamenti della flotta americana sotto l’appellativo di “missioni a sorpresa” dichiarò espressamente: “Voglio semplicemente che sbuchino qua e là e che i giapponesi continuino a chiedersene la ragione… [7].
Affermazioni queste che incontrarono anche le obiezioni degli altri alti ufficiali. L’ammiraglio Husband Kimmel ad esempio, quando venne posto di fronte all’ordine di condurre “missioni a sorpresa” per provocare i giapponesi si lasciò scappare la seguente affermazione: “E’ una mossa sconsiderata e compierla porterà alla guerra” [8].
Ma quando l’ammiraglio Kimmel si rese conto che Roosevelt non aveva alcuna intenzione di tornare sui propri passi, preferì scendere a compromessi e offrì la sua collaborazione all’unica condizione che fosse stato tempestivamente informato delle contromosse giapponesi.
Il “dietro-front” di Kimmel venne quindi premiato con una promozione al grado di ammiraglio e con la nomina di comandante in capo della flotta del Pacifico. Chi invece, come l’ammiraglio Richardson, mantenne coraggiosamente la sua posizione, venne rimosso il 1 febbraio 1941 durante una importante riorganizzazione della Marina.
Roosevelt ordinò infatti la suddivisione delle forze navali in due contingenti distinti, una flotta per l’Atlantico e l’altra per il Pacifico. Un’escamotage che gli consentì di liberarsi agevolmente degli ufficiali non allineati ai suoi programmi, e di prepararsi nello stesso tempo, ad affrontare un conflitto allargato alla Germania.
La registrazione degli ordini emanati direttamente da Roosevelt nel periodo a cavallo tra marzo e luglio 1941 dimostra ancora più dettagliatamente quanto egli fosse realmente immischiato nel piano McCollum. Il Presidente diede disposizioni di sua iniziativa e persino contro il parere dei suoi più alti ufficiali per violare reiteratamente il diritto internazionale. Vennero quindi dispiegati gruppi navali militari operativi (in pieno assetto di guerra) al confine delle acque territoriali giapponesi allo scopo di compiere tre “missioni a sorpresa” [9].
Altri indizi inquietanti riguardo un diretto coinvolgimento del Presidente in una cospirazione provengono dallo stesso modo in cui vennero organizzati i servizi informativi. Le traduzioni dei messaggi in codice giapponesi ad esempio, dovevano pervenire direttamente nelle sue mani o in quelle di soggetti da lui autorizzati. Tutte le intercettazioni militari e diplomatiche giapponesi gia decodificate arrivarono quindi alla casa bianca baipassando l’ammiraglio Kimmel, il comandante in capo della flotta nel Pacifico. In questo modo venne garantita la massima segretezza possibile sulle reazioni di Yamamoto alle provocazioni americane. Persino nei confronti dello stesso stato maggiore USA.
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E appena le “missioni a sorpresa” ebbero inizio, le navi guerra americane cominciarono a scorazzare intorno alle acque territoriali giapponesi arrivando ad insidiare perfino lo stretto di Bungo, ovvero l’accesso principale al Mar del Giappone. Ne scaturì una crisi diplomatica che culminò con le proteste ufficiali del ministero della Marina giapponese. La lettera venne consegnata all’ambasciatore Grew di Tokyo, per denunciare quanto segue: “Nella notte del 31 luglio 1941, le unità della flotta giapponese ancorate nella Baia di Sukumo (stretto di Bungo) hanno captato il suono di eliche che si avvicinavano da est. I cacciatorpediniere della Marina giapponese hanno avvistato due incrociatori che sono scomparsi in direzione sud dietro la cortina di fumo accesa dopo che gli era stato intimato il chi va là…..Gli ufficiali della Marina ritengono che le imbarcazioni fossero incrociatori degli Stati Uniti”.
L’ombra dell’alta finanza dietro la programmazione della guerra
L’amministrazione americana non è mai stato il vero attore delle guerre più recenti, ma solo una pallida comparsa. Il soggetto pubblico su cui riversare tutte le colpe.
Le reali motivazioni che spinsero il Presidente Roosevelt a catapultare il popolo americano in guerra, conducono inequivocabilmente ad alcuni dei retroscena meno divulgati del secondo conflitto mondiale.
Ecco ad esempio cosa è clamorosamente “sfuggito” agli storici della versione ufficiale:
Nell’estate del 1940 (prima dell’emanazione del protocollo McCollum), Roosevelt elaborò un piano di politica estera volto ad isolare economicamente il Giappone e le forze dell’asse con una serie di embarghi. Ma la circostanza quantomeno “anomala”, è che la Casa Bianca stava riservatamente operando al contempo per garantire a questi stessi paesi nemici la scorta di risorse energetiche a loro necessarie per intraprendere una lunga guerra proprio contro gli Stati Uniti e i suoi alleati. Roosevelt scelse infatti di dare corso alle vere provocazioni (del protocollo McCollum) solo quando il Giappone venne ritenuto in grado di sostenere il conflitto. Pertanto, i giapponesi ricevettero tutto l’approvvigionamento di materie prime (in particolare il petrolio) di cui avevano bisogno persino durante il proclamato embargo.
Nei mesi di luglio e ottobre del 1940, in pieno regime di apparente isolamento economico del Giappone, il Call Bullettin di San Francisco fotografò degli operai sul molo del porto cittadino mentre stavano tranquillamente provvedendo allo stoccaggio di numerosi container nelle stive di due navi da trasporto nipponiche. Si trattava della “Tasukawa Maru” e della “Bordeau Maru”, entrambe, vennero caricate con ingenti quantità di quel materiale ferroso di cui aveva fortemente bisogno l’industria pesante Giapponese, un paese ritenuto ufficialmente ostile. Una volta terminate le operazioni di carico, il naviglio prese il largo e fece rotta verso la madrepatria. Ma non si trattò solo di un caso isolato perché la scena era destinata a ripetersi in modo quasi surreale per tutto il 1940 e il 1941 persino dopo lo scoppio del conflitto [10].
La vicenda in questione non era certo sfuggita ai servizi segreti americani che annotarono tutti gli spostamenti delle navi da trasporto giapponesi (ibid). E anche per quanto concerneva i rifornimenti di petrolio, la violazione delle restrizioni avvenne in modo sistematico e del tutto evidente. L’embargo infatti non fu mai applicato alle raffinerie ubicate sulla costa occidentale degli Stati Uniti (ibid p.36), pertanto è lecito concludere che l’osannato isolamento del Giappone fosse solo una manovra politica di facciata.
A dispetto dei proclami formali, la Casa Bianca si adoperò dietro le luci dei cronisti per sostenere le capacità belliche Giapponesi. Lo scopo era quello di prepararlo all’imminente conflitto già in agenda dei poteri forti. Un assunto questo che, per quanto possa apparire assurdo a chi ha sempre creduto alla favola dell’imperialismo americano (o viceversa, ha riposto la massima fiducia nei metodi democratici dell’amministrazione USA), non solo risponde al vero, ma dimostra come l’opinione pubblica sia stata sempre spudoratamente manipolata.
Il console generale giapponese rassicurò infatti il suo governo che al di là dei proclami formali, Roosevelt e il suo esecutivo, stavano chiudendo un occhio sui rifornimenti “americani” affermando letteralmente: “Tutti i nostri permessi di esportazione sono stati garantiti. Le agenzie americane da cui acquistiamo il petrolio procedono e stabiliscono accordi soddisfacenti con le autorità governative di Washington” [11]
L’alto funzionario diplomatico giapponese specificò inoltre che era riuscito ad acquistare una miscela speciale di petrolio greggio eludendo facilmente i divieti imposti con l'embargo. Nel messaggio segreto poi cifrato, compare dettagliatamente la portata dell’acquisto; 44.000 tonnellate (ben 321.000 barili) dall’Associated Oil Company. Peraltro il dispaccio diplomatico terminava concludendo: “I rivenditori di petrolio americano della zona di San Francisco che vendono alla Mitsui e alla Mitsubishi, dei quali il principale è l’Associated Oil Company, credono che non ci sarà alcuna difficoltà nel continuare la spedizione di comune carburante al Giappone” (ibidem).
Allo storico cablogramma diplomatico, fanno poi da inquietante contorno le registrazioni militari USA a proposito delle rotte di carico e scarico regolarmente effettuate dalle petroliere dirette in Giappone. E poiché, i servizi informativi americani monitorarono costantemente i movimenti delle navi da trasporto nipponiche su esplicito ordine della Casa Bianca, è legittimo supporre che Roosevelt, non poteva non sapere cosa stava realmente accadendo.
Le navi con il prezioso carico di oro nero americano erano dirette verso il deposito petrolifero di Tokuyama. E solo nel periodo compreso tra il luglio 1940 e l’aprile 1941 risulta accertato che i rifornimenti petroliferi “americani” ammontarono a quasi 9.200.000 barili.
Tutte le rotte degli approvvigionamenti giapponesi vennero intercettati e schedati dai radiogoniometri militari americani dalla Stazione SAIL, il centro di controllo del Navy’s West Communication Intelligence Network (sistema dei servizi informativi di comunicazione della costa occidentale della Marina USA, WCCI) ubicata vicino Seattle. Gli impianti radio della Mackay Radio & Telegraph, Pan American Airways, RCA Communications e Globe Wireless fornirono ulteriori preziose informazioni.
L’ampio ed efficientissimo sistema di monitoraggio USA si estendeva lungo tutta la costa occidentale, da Imperial Beach in California sino a Dutch Harbor in Alaska [32].
In conclusione quindi, i servizi informativi e il Presidente dovevano sapere perfettamente che la maggior parte del petrolio giapponese proveniva dall’impianto di raffinazione californiano della Associated Oil Company di Port Company. Un continuo andirivieni di navi da trasporto portò infatti il prezioso carburante direttamente a Tokuyama, la principale base di rifornimento della flotta militare giapponese.
Qualcuno però si accorse per tempo di quanto stava effetivamente avvenendo dietro le verità ufficiali e denunciò il fatto pubblicamente. Così, accadde che proprio mentre Roosevelt si dava affanno nell’apparire un Presidente pacifista dinanzi alla Nazione, il deputato del Missouri Philip Bennet rilasciò la seguente eloquente dichiarazione: “…..Ma i nostri ragazzi non verranno mandati all’estero, dice il Presidente. Sciocchezze, signor Presidente; Già ora si sta provvedendo a preparargli le cuccette sulle nostre navi da trasporto. Gia ora i cartellini per l’identificazione di morti e feriti vengono stampati dalla ditta di William C. Ballatyne & Co. di Washington” [12].
E anche se all’epoca dei fatti tale affermazione “fuori dal coro” di P. Bennet passò quasi completamente inosservata, le indagini storiche del dopoguerra gli hanno conferito pienamente ragione. Roosevelt, come tutti i politici a cui è stato consentito l'accesso alle “stanze dei bottoni”, non fece altro che obbedire alle direttive dell’alta finanza, ovvero, ottemperò scrupolosamente agli ordini degli “invisibili” magnati a cui i popoli pagano il debito pubblico attraverso le tasse. Illuminante in tal senso, l’amara considerazione personale di Curtis Dall, il genero di F.D. Roosevelt,: “Per molto tempo pensai che (Roosevelt)...avesse nutrito molti pensieri e progetti a beneficio del suo paese, gli USA. Ma non era così. La maggior parte dei suoi pensieri, le sue “cartucce” politiche, per così dire, erano state attentamente fabbricate per lui dal Consiglio sulle relazioni estere/Gruppo finanziario per un mondo unito (CFR= Rockfeller, Rothschild & co – specificaz. Dell'autore.). Brillantemente e con grande slancio, come fossero un bel pezzo d'artiglieria, egli sparò quelle “cartucce” prefabbricate in mezzo a un bersaglio inaspettato, il popolo americano, e così comprò e confermò il suo rapporto politico internazionalista” [13].
E a dispetto di ciò che continua ad affermare la storia patinata della versione ufficiale, non rimane quindi che svelare chi erano e che intenzioni avevano i potenti “consiglieri” di F.D.R. che tanto ascendente avevano su di lui….
Un accenno alla regia occulta
Dietro i protagonisti ufficiali della storia che abbiamo studiato nelle c.d. “scuole” dell’obbligo, operano senza mai apparire, i membri e i programmi della vera casta di comando, i c.d. “poteri forti”. Una elite di persone che gestisce il potere da padre in figlio e che da secoli tiene letteralmente sotto controllo l’economia (e quindi anche la politica) delle nazioni. Sono i proprietari esclusivi delle banche centrali, delle assicurazioni, dei monopoli energetici, dell’industria e dei grandi canali d’informazione. I suoi rappresentanti non si riconoscono realmente in alcuna specifica nazionalità poiché si ritengono al di sopra di qualunque di essa, considerandosi a tutti gli effetti i veri signori del mondo. Ed ecco a tal proposito cosa ebbe a dichiarare già nel lontano 1733, un illustre esponente dei grandi casati finanziari che oggi possiedono letteralmente le banche centrali, il finanziere Amschel Mayer Bauer Rothschild (capostipite dell’impero Rothschild): “La nostra politica è quella di fomentare le guerre, ma dirigendo conferenze di pace, in modo che nessuna delle parti in conflitto possa ottenere guadagni territoriali. Le guerre devono essere dirette in modo tale che le Nazioni, coinvolte in entrambi gli schieramenti, sprofondino sempre più nel loro debito e, quindi, sempre più sotto il nostro potere” [14].
Dal quel remoto 1733 però, il tempo non sembra essere passato invano e gli strumenti dei manipolatori sono stati affinati. Nella storia contemporanea sono sorte infatti vere e proprie istituzioni paragovernative che lavorano a porte chiuse per realizzare i programmi di dominio dell’alta finanza. E come intuito da Curtis Dall, una di queste moderne organizzazioni che maggiormente diresse l’operato di Roosevelt è il CFR (Council on Foreign Relations). Una sedicente organizzazione “filantropica” fondata nel 1921, con il finanziamento della famiglia Rockefeller. Alla costituzione del CFR parteciparono 650 “eletti”, “il Gotha del mondo degli affari" [15] e suoi membri di spicco furono sempre all’ombra del Presidente americano di turno. Ed è quindi proprio a costoro che si deve attribuire la vera paternità del protocollo McCollum. In qualità di ministro della guerra di Roosevelt ad esempio, agiva in “prima linea” Henry Stymson, un personaggio che “guarda caso” era anche uno dei membri fondatori del CFR. Il suo coinvolgimento nel piano di provocazione, emerge chiaramente dalle righe del suo stesso diario: “Affrontiamo la delicata questione di come realizzare una schermaglia diplomatica che faccia apparire il Giappone dalla parte del torto e gli faccia compiere, scopertamente, il primo passo falso” [16]. E sempre a tal proposito, lo scrittore George Morgenstern, ha pubblicato il libro “Pearl Harbor, The Story Of The Secret War” in cui è stato esaustivamente documentato come il Giappone venne trascinato in guerra dalla strategia d'azione dei membri del CFR.
Poiché come noto, a molte guerre corrispondono molti soldi e infinito potere per gli oscuri signori dell'alta finanza. Una volta conclusi i conflitti, saranno infatti sempre loro a decidere le condizioni di riparazione della nazione di turno che è stata messa in ginocchio. Ai popoli di entrambe le parti belligeranti invece, non resterà che l’amaro compito di leccarsi le ferite tra un camposanto e l'altro, aspettando di sapere quanto dovranno pagare per le spese di guerra (“vinta” o persa che sia). Con l’ingresso dell’America nel secondo conflitto mondiale avvenne infatti un colossale trasferimento di ricchezza dalla casse pubbliche a quelle private; Il bilancio federale USA a cavallo del decennio 1930-1939 era di “appena” 8 miliardi di dollari l’anno, nel 1945 invece, il debito per sostenere la guerra fece impennare i grafici contabili fino 303 miliardi di quota. Il costo globale del conflitto (nei soli termini economici) sostenuto dagli americani, fu ufficialmente di 321 miliardi di dollari, più del doppio di quanto il governo federale aveva “scucito” ai contribuenti nei 152 anni di storia che vanno dal 1789 al 1941 [17]. Gli eventi bellici peraltro, non rappresentano solo il grande business dei banchieri, ma sono anche un subdolo ed efficacissimo strumento di azione politica. Vengono infatti concepiti a tavolino come formidabile pretesto per instaurare a guerra finita, gli assetti politici e sociali a loro più congeniali. Si muovono a piccoli passi per realizzare il progetto secolare del “nuovo ordine mondiale”. Uno scopo che del resto trapela esaustivamente dalle stesse parole pronunciate da James Warburg (insigne esponente dei poteri forti) solo pochi anni dopo la fine della seconda guerra mondiale:
"Che vi piaccia o no, avremo un governo mondiale, o col consenso o con la forza".[18]
Tra gli altri invisibili personaggi della storia che “suggerirono” a Roosevelt gli obiettivi da raggiungere durante la sua presidenza, compare il nome eccellente di Bernard M. Baruch. Un illustre membro dell’alta finanza e del CFR che presiedette al Comitato delle industrie belliche durante la Prima guerra mondiale e che poi negoziò anche le condizioni delle riparazioni tedesche nel trattato di Versailles [19]. La sua autorevolissima voce venne sempre e perentoriamente ascoltata dai presidenti americani.
Nato in Texas nel 1870 da un agiatissimo esponente del Ku Klux Klan, l'ultra miliardario Bernard Mannes Baruch divenne il “consigliere” di ben sei presidenti USA. Dal massone [20] Woodrow Wilson (1912) al massone Eisenhower (1950), fu sempre lui ad esempio a “persuadere” il Presidente Wilson circa la necessità di coinvolgere l’America nella prima guerra mondiale. E persino la creazione di un organo governativo volto esclusivamente a sostenere lo sforzo bellico americano fu una sua idea. Nulla di strano quindi se al nuovo ente vennero conferiti ampi poteri speciali nella pianificazione della produzione industriale. Come del resto è naturale, che a capo di esso finì per essere nominato proprio lui, Bernard Baruch, il mentore del Presidente.
Una volta al comando del “War Industry Board”, tutte le commesse relative al materiale bellico e logistico passarono nelle sue mani, dagli stivali ai mezzi corazzati. Affari d’oro che non si limitarono agli approvvigionamenti americani ma che si estesero in buona misura anche agli ordinativi degli altri eserciti alleati. E come denunciò nel 1919 dalla Commissione Investigativa del Congresso (guidata dal senatore W. J. Graham) che indagò sui profitti che quell’organo rese possibili, si trattò di: “un governo segreto…sette uomini scelti dal Presidente hanno concepito l’intero sistema di acquisti militari, programmato la censura sulla stampa, creato un sistema di controllo alimentare…dietro porte chiuse, mesi prima che la guerra fosse dichiarata” [21].
In seguito, fu possibile ripetere tale collaudato “modus operandi” grazie ai “consigli” che Baruch diede al presidente F. D. Roosevelt, nella guerra contro Hitler: questa volta però l’organo pianificatore si chiamò War Production Board. A dirigerlo venne nominato Harry Hopkins, un uomo di fiducia del signor Baruch, (ibidem).
La decriptazione dei codici giapponesi
Tornando alle circostanze militari che condussero all’attacco di Pearl Harbor, già a partire dall’ultima settimana del settembre 1940, un esperto team di crittografi americani riuscì a decodificare entrambi i principali codici segreti utilizzati dai Giapponesi. Tutte le comunicazioni diplomatiche riservate vennero quindi tradotte con il “codice Purple” mentre i dispacci militari nipponici segreti poterono essere interpretati con il codice “Kaigun Ango” in tempi sufficientemente brevi. La riuscita decodificazione dei codici però, venne mantenuta nel massimo riserbo anche tra le stesse autorità militari USA, in quanto, come anzidetto, si fece in modo che i dispacci dei servizi informativi giungessero direttamente al Presidente [22].
Le reali potenzialità dell’intelligence USA vennero “a galla” solo più tardi, grazie alle rivelazioni del contrammiraglio Royal Ingersoll, assistente capo delle operazioni navali. Egli spiegò infatti che già prima di Pearl Harbor i servizi informativi americani erano in grado di scoprire in anticipo la strategia navale di guerra e le operazioni tattiche del Giappone [33]. Una verità esplosiva documentata da una lettera scritta il 4 ottobre 1940 e indirizzata da Ingersoll ai due ammiragli James Richardson e Thomas Hart. La missiva, estremamente chiara e dettagliata, precisava che la marina americana iniziò il rilevamento dei movimenti e delle posizioni delle navi da guerra giapponesi nell’ottobre 1940: “Ogni spostamento rilevante della flotta dell’Orange (che nel codice USA significava Giappone) è stato previsto ed è disponibile un flusso continuo di informazioni riguardanti le attività diplomatiche dell’Orange” [23].
Peraltro come vedremo, i giapponesi, furono protagonisti di talmente tanti errori madornali nell’effettuare le loro comunicazioni riservate, che diventa davvero difficile poi riuscire a credere nella versione ufficiale dell'attacco a “sorpresa”.
L'ammiraglio giapponese Yamamoto infatti, ruppe imprudentemente il silenzio radio il 25 novembre 1941. I messaggi in questione ordinavano alla 1° flotta aerea di prendere il volo il 26 novembre dalla base di Hitokappu per dirigersi in acque Hawaiiane e attaccare così la flotta americana all'ancora di Pearl Harbor. Precisò addirittura latitudine e longitudine della rotta da percorrere [24].
Come noto, l’attacco venne poi rimandato al 7 dicembre, ma ciò non toglie che i servizi informativi americani sapessero ormai quali fossero le reali intenzioni giapponesi. E come minimo, la base di Pearl Harbor avrebbe dovuta essere stata posta in stato di allerta. Ma ecco qui di seguito riprodotto il testo letterale dei due messaggi intercettati dai sevizi informativi americani:
1) “Il 26 novembre l'unità operativa, mantenendo strettamente riservati i suoi movimenti, deve lasciare di Hitokappu e giungere al 42° di latitudine nord per 170° di longitudine est nel pomeriggio del 3 dicembre e completare velocemente il rifornimento” [25].
2) “L'unità operativa, mantenendo strettamente riservati i suoi movimenti e ponendo estrema attenzione a sottomarini e velivoli, deve avanzare in acque Hawaiiane e alla vera apertura delle ostilità attaccare la forza principale degli Stati Uniti alle Hawaii infiggendole un colpo mortale (neretto dell’autore). Il primo attacco aereo è previsto per l'alba del giorno X. La data esatta sarà fornita in un ordine successivo. Una volta completato l'attacco aereo, la forza operativa, mantenendo una stretta collaborazione e prestando attenzione al contrattacco nemico, dovrà abbandonare velocemente le acque nemiche e fare rotta verso il Giappone. Se i negoziati con gli Stati Uniti avranno esito positivo, l'unità operativa dovrà essere pronta a tornare immediatamente a radunarsi”.
Paradossalmente però, solo gli uomini di fiducia del Presidente erano stati autorizzati a seguire l’ evoluzione della crisi con il Giappone. Ed è probabilmente proprio per tale motivo che quel fatidico 7 dicembre 1941, il “miracolato” ammiraglio Anderson (ex direttore dei servizi informativi e stretto collaboratore di Roosevelt) sopravvisse indenne all’attacco. Egli infatti, al momento dell’incursione aerea non si trovava a bordo di nessuna delle sue navi da guerra, ma al sicuro nella sua tranquilla residenza di Diamod Head.
Per un’altra “strana” ironia della sorte, la stazione di monitoraggio americano delle Hawaii (la c.d. stazione cinque) era proprio uno dei principali centri d’intercettazione dei messaggi in codice Purple giapponesi. E ciononostante, la strage non poté essere evitata, poiché, come già ampiamente chiarito, i messaggi giapponesi, una volta decriptati venivano inviati direttamente al Presidente, senza passare quindi per l’alto comando locale. Una circostanza per così dire “anomala” che fece da preludio al sacrificio umano di migliaia di americani.
A denunciare le “stranezze” della catena informativa ci sono le proteste documentate e archiviate dell’ammiraglio Kimmel. Il quale, al sopraggiungere della primavera del 1940, si rese conto di essere stato tagliato fuori dal servizio informativo. A provarlo c’è la sua richiesta del 18 febbraio 1940 rivolta all’ammiraglio Stark per ottenere che venisse nominato un responsabile dei servizi a cui fare capo per risolvere la “confusione”. Lo scopo di Kimmel naturalmente, era quello di ottenere che qualche ufficiale qualificato gli facesse pervenire i rapporti di natura segreta [26] senza “malintesi”.
La risposta di Stark però, arrivò solo dopo un mese circa, esattamente il 22 marzo. In essa veniva perentoriamente affermato quanto segue: “I servizi segreti della Marina sono pienamente consapevoli della loro responsabilità di tenervi adeguatamente informato” [27]. Ma siccome Kimmel fino a quel momento non aveva mai ricevuto alcuna informazione “sensibile”, dovette prendere atto che si trattava solo di rassicurazioni del tutto formali. In sostanza era stato totalmente escluso dal circuito informativo per ordini che potevano provenire solo dalla Casa Bianca. Tuttavia, cosciente della gravità del pericolo che correva la sua flotta, decise comunque di esercitare nuove pressioni ufficiali. E dopo aver atteso invano un cambiamento della situazione fino al 26 maggio 1940, inviò una ulteriore richiesta direttamente ai servizi informativi. Il messaggio recitava quanto segue: “Informare immediatamente il comandante in capo della flotta del Pacifico di tutti gli sviluppi importanti attraverso i mezzi più rapidi a disposizione (ibidem).
Nel cablogramma, l’ammiraglio sottolineò persino che la sua esigenza di essere tempestivamente informato, era da ritenersi un “principio militare cardine” (ibid p.58). Ma anche quest’ultimo tentativo si rivelò vano, e al termine del luglio 1941 Kimmel poté constatare amaramente, di essere stato ormai definitivamente escluso dall’intelligence.
Alla fine della guerra Kimmel dichiarerà infatti: “Non comprendo e non comprenderò mai perché io sia stato privato delle informazioni disponibili a Washington” (ibid p.57).
Dalla testimonianza dell’ammiraglio che fu il comandante in capo della flotta nel Pacifico, si può quindi ragionevolmente concludere che il popolo americano e la maggior parte dei suoi alti ufficiali venne tenuta completamente all'oscuro dei reali retroscena che determinarono la guerra. Le registrazioni, le testimonianze e i documenti che lo rivelano vennero tutte “incredibilmente” ignorate dalle varie indagini che si svolsero tra il 1941 e il 1946 fino agli accertamenti congressuali del 1995. Ma le prove di una cospirazione a danno delle nazioni ci sono e aspettano solo di trovare udienza nei circoli mediatici di massa. Ambedue i messaggi di Yamamoto che ordinarono l’attacco su Pearl Harbor ad esempio, sono riportati testualmente nei libri scritti da alcuni ufficiali della Marina americana come: “Pearl Harbor” del vice-ammiraglio Homer N. Wallin e in “The Campaigns of The Pacific War” redatto dalla Divisione analisi navali del rilevamento bombardamenti strategici degli Stati Uniti.
Peraltro la stazione "H" dei servizi americani, intercettò e decriptò almeno altri 13 messaggi "sensibili" di Yamamoto, il cui testo è curiosamente risultato mancante dagli archivi della Marina. Sappiamo comunque per certo che furono trasmessi con il segnale di radio-chiamata RO SE 22 tra le 13.00 del 24 novembre e le 15.54 del 26 novembre, appena una decina di giorni prima dell’attacco giapponese (ibid p.66). Tutti i documenti originali in questione erano stati ceduti nel 1979 agli archivi nazionali del Presidente Jimmy Carter [28].
L'indagine ufficiale del Congresso, concluse invece che i servizi di spionaggio americano, “persero contatto” con le navi giapponesi nei giorni precedenti all’attacco (ibid p.67), in quanto queste, avevano scrupolosamente mantenuto il silenzio radio…
Ma a smentire la versione ufficiale esistono anche altre prove schiaccianti come le registrazioni dei servizi informativi olandesi. Dalla disamina di queste infatti, è stato appurato che gli ammiragli al comando delle navi da guerra giapponesi, violarono il silenzio radio rimanendo costantemente in contatto con Tokyo (ibid p.67). E quindi, tanto la loro posizione quanto le loro intenzioni furono necessariamente captate durante tutti i 25 giorni che vanno dal 12 novembre al 7 dicembre 1941, cioè sino alla data del fantomatico attacco a “sorpresa”. Peraltro uno dei messaggi intercettati il 18 novembre venne addirittura inviato “in chiaro” e in caratteri latini, quindi interpretabile anche senza codici.
Pertanto, la testimonianza del generale olandese Hein ter Poorten, smentì palesemente la versione ufficiale della commissione d’inchiesta. Egli, infatti non esitò a confermare che anche i suoi crittografi della “Kamer 14” (ibidem) possedevano prove che dimostravano una minacciosa concentrazione di navi giapponesi nei pressi delle isole Curili già alcuni giorni prima dell'attacco di Pearl Harbor.
Il resoconto rilasciato dall’ammiraglio Harold Stark davanti alla Commissione congressuale del 1945-6 attesta poi inequivocabilmente che quest’utlimo, al contrario dell’ammiraglio Kimmel, era stato informato del massiccio raduno giapponese nella baia di Hottokappu prima del 7 dicembre 1941 [29]. E come accertò ancora una indagine congressuale del 1945, il 3 dicembre 1941 (quindi 4 giorni prima dell'attacco giapponese), furono intercettati e decifrati altri messaggi che svelavano ( a chi ancora non lo avesse capito) la decisione giapponese di dichiarare la guerra agli Stati Uniti con un colpo di mano [30].
Anche le registrazioni originali di questi messaggi però, “sparirono misteriosamente” dagli archivi della Marina (ibidem): in ultima analisi, la commissione unica congressuale d'indagine sull'attacco a Pearl Harbor cercò solo di insabbiare le prove del complotto contro le nazioni.
"Ieri, 7 Dicembre, data che resterà simbolo di infamia, gli Stati Uniti d'America sono stati improvvisamente e deliberatamente attaccati da forze aeree e navali dell'impero giapponese...".
F.D.Roosevelt nel discorso alla Nazione dell'8 dicembre 1941
Marco Pizzuti (Primus)
Riferimenti
[1] Boston, 30 Ottobre 1940. Public Papers and address of Franklin D. Roosevelt, Macmillan, New York, volume del 1940, p.517
[2] Citaz. dal libro “Casebook On alternative 3” di Jim Keith, ediz. Il saggiatore, Milano 2001 p.26
[3] R. Stinnet “Il giorno dell’inganno”, p.26
[4] citaz. “Secret Societies” p.210 – Il testo originale del cablogramma originale di Grew che il ministro degli esteri ricevette alle 6.38 di lunedì 27 gennaio 1941 –ora dell’est degli USA- in PHPT 14, pag. 1042
[5] “Il giorno dell’inganno”, p.50
[6] Cfr. Richardson, James O., On The Treadmill To Pearl Harbor, Naval History Division, Department of the Navy, Washington DC 1973, p.435
[7] Secondo l’ammiraglio Stark, F.D.R. le definì “missioni a sorpresa, cfr Simpson, B. Mitchell III, Admiral Harold R. Stark, University of South Carolina Press, 1989, p.101-2
[8] L’ammiraglio H. Kimmel il 18 febbraio 1941 scrisse a Stark affermando che l’invio degli incrociatori “era il peggior consiglio” possibile, PHPT 33-1199
[9] La prima ebbe inizio nei giorni tra il 15 e il 21 marzo 1941 e comportò l’invio delle navi americane nelle acque adiacenti a quelle giapponesi. Cfr. Il viceammiraglio John H. Newton riferì in sede d’indagine che gli ordini ricevuti erano estremamente riservati e diretti a lui a voce, PHPT 26-340. In realtà il segreto riguardò solo la stampa americana in quanto diversi rotocalchi australiani pubblicarono la notizia irritando maggiormente i giapponesi. La seconda missione condusse le navi da guerra USA nella regione del Pacifico meridionale e centrale adiacente ai territori orientali controllati dal Giappone: cfr RG 24, giornali di bordo delle navi americane Salt Lake City e Northampton, luglio e agosto 1941, Archives II.3. Il terzo passaggio riguardò lo stretto di Bungo - cfr. Serial 220230 cit. ottenuta su concessione del gennaio 1995, Archives II.
[10] “Il giorno dell’inganno”, p.38
[11] Ddal rapporto del Consolato giapponese di San Francisco, 16 settembre 1940; cfr. appendice D
[12] Citaz. A.H. M. Ramsey in The Nameless War p.75
[13] “Casebook On Alternative 3", p.25
[14] Antonella Randazzo “Dittature, la storia occulta”, p.168, ediz. Nuovo Mondo, Padova, 2007
[15] Maurizio Blondet, Complotti - I fili invisibili del mondo - I. Stati Uniti, Gran Bretagna, Il Minotauro, Milano, II ediz., 1995, pag. 98
[16] “Casebook On Alternative 3", p.25
[17] Mollenhoff Clark R., “Il Pentagono”, Gherardo casini editore, Roma 1968, pp.80-81
[18] James Warburg, banchiere, alla Commissione Esteri del Senato, 17 febbraio del 1950
[19] da “Schiavi delle banche”, M. Blondet, Effedieffe
[20] “La faccia nascosta della storia”, Piero Mantero, Edizioni segno, 1997, p.17
[21] da: “Schiavi delle banche”, ediz. Effedieffe, Maurizio Blondet, 2004
[22] “Il giorno dell’inganno”, p.39
[23] cfr. RG 38, CNO Secret Serial 081420 del 4 ottobre 1940, SRH (special research history) 355, vol. I pagg. 395-397
[24] “Il giorno dell’inganno” p.65
[25] sulla prima spedizione di Yamamoto, cfr. Wallin, capitano Trapnell, F.M., capitano Russel, J.S. E capitano di corvetta Field, J.A. A cura di “The campaignh of Pacific War”, United States Strategic Bombing Survey, Naval Analysis Division, USGPO, Washington, 1946, pag.50
[26] cifrato PHPT 4, p.1792
[27] “Il giorno dell’inganno” p.58
[28] I tredici messaggi radio mancanti di Yamamoto possono essere recuperati utilizzando il numero del messaggio SMS (Secret Message Series) dal file di intercettazione della stazione H in RG 45, MMRB, Archives II
[29] “Il giorno dell’inganno”, p.68
[30] “La verità vi renderà liberi”, D. Icke, p.139
[31] "Il giorno dell'inganno", p.33
[32] per le strutture commerciali cfr. Commandant, 11 distretto navale, serie segreta C-76 del 4 aprile 1940, RG 181, scatola 196741, National Archives, Laguna Niguel, California
[33] "Il giorno dell'inganno", p.40
martedì 15 febbraio 2011
Il signoraggio Bancario
Buongiorno a tutti, oggi vorrei affrontare un argomento un pò diverso dal solito, si tratta del signoraggio bancario, è un argomento molto complesso ma che credo tutti dovrebbero conoscere, pubblico quindi una storiella ad hoc che spiegherà in maniera più semplice di cosa si tratta... Buona Lettura :)
Bankenstein era eccitato mentre ancora una volta si ripeteva il discorso che avrebbe tenuto alla gente che si sarebbe presentata all'indomani. Aveva sempre cercato il prestigio ed il potere ed ora il suo sogno stava per realizzarsi. Bankenstein era un artigiano orafo che lavorava con l'oro e con l'argento, producendo gioielli ed ornamenti, ma non gli bastava lavorare per vivere. Aveva bisogno di emozioni, di una sfida, ed ora il piano era pronto. Per generazioni la gente aveva usato il sistema del baratto. Una persona manteneva la sua famiglia provvedendo a tutti i suoi bisogni, oppure si specializzava in un particolare tipo di commercio e scambiava con altri le eccedenze per procurarsi i beni che non produceva direttamente. I giorni di mercato erano sempre rumorosi ed allegri. La gente gridava le proprie merci e le persone avevano occasione di fare nuove conoscenze. Ma ormai c'erano troppa gente e troppe discussioni. Non c'era più tempo per scambiare due chiacchiere - bisognava escogitare un nuovo sistema. In generale la gente era felice e godeva dei frutti del proprio lavoro. In ogni comunità si era formato un semplice sistema di governo per assicurare a tutti l'esercizio dei propri diritti e delle libertà e perché nessuno venisse obbligato a fare cose contro la sua volontà, costretto da parte di altre persone o altri gruppi di uomini.
Questo era l'unico scopo del governo ed ogni governatore era promosso ed eletto dalla comunità locale. Tuttavia, i giorni di mercato ponevano dei problemi da risolvere: un coltello valeva uno o due sacchi di grano? Una mucca valeva più di un carro? E così via. Nessuno aveva pensato ad un sistema migliore. Ma era apparso Bankenstein che aveva fatto un annuncio: "Ho trovato una soluzione ai nostri problemi di baratto ed invito la cittadinanza ad una riunione domattina". Il giorno dopo si era creata una grande adunanza nella piazza centrale del paese e Bankenstein cominciò a spiegare tutto sul nuovo sistema che aveva inventato e che si chiamava "moneta". Suonava bene. Da dove cominciamo? - chiese la gente. L'oro che uso per fare gioielli ed ornamenti è un metallo eccellente. Non si arrugginisce né si sciupa con il tempo. Batterò della moneta in oro e chiameremo queste monete 'dollari'." Bankenstein spiegò il sistema dei valori ed illustrò come la moneta sarebbe stato un sistema di scambio migliore del baratto. Uno dei governanti notò: "La gente potrebbe cominciare a scavare l'oro ed a farsi le proprie monete". "Questo non sarebbe corretto" - disse subito Bankenstein. "Solamente le monete approvate dal Governo potranno avere corso legale e queste avranno un particolare marchio di riconoscimento". La cosa sembrò ragionevole e venne proposto di distribuire le monete in parti uguali alla popolazione. Ma il fabbricante di candele disse: "Io ne merito di più perché ognuno usa le mie candele". "No" disse il contadino. "Senza cibo non c'è vita quindi siamo noi che ne dobbiamo avere di più". Ed il battibecco continuò.
Bankenstein li lasciò discutere per un po' ed alla fine disse: "Poiché nessuno riesce a mettersi d'accordo, suggerisco che ne riceviate l'ammontare che mi chiederete. Non c'è un limite se non la vostra capacità di restituirmele. Più ne avrete e più dovrete restituirmene nell'arco di un anno". "E che cosa avrai in cambio?" chiese la gente. "Poiché offro un servizio, ovvero la distribuzione della moneta, devo essere pagato per il mio lavoro. Diciamo che per 100 monete, me ne dovrete 105 per ogni anno di indebitamento.Le 5 saranno il mio ricarico e lo chiamerò 'interesse'. Sembrava non ci fosse altra soluzione ed il 5% sembrò una cifra ragionevole. Fissarono di cominciare col nuovo sistema il venerdì successivo. Bankenstein non perse tempo: stampò monete giorno e notte e per la fine della settimana era pronto. La gente faceva la coda al suo negozio e, dopo che le monete furono controllate dai governatori, si cominciò col nuovo sistema. Qualcuno ne prese a prestito poche, giusto per provare come funzionava. Scoprirono che la moneta era una cosa meravigliosa e ben presto ogni prodotto ebbe il suo prezzo in monete d'oro o dollari. Il valore attribuito ad ogni oggetto venne chiamato "prezzo". Il prezzo dipendeva soprattutto dalla quantità di lavoro necessaria per produrre il bene. Se ci voleva molto lavoro, il prezzo era alto. Se invece il lavoro necessario era poco, il prezzo era economico. In una città viveva Andrea, che era l'unico orologiaio. I suoi prezzi erano cari perché i clienti erano disposti a pagare per avere proprio uno dei suoi orologi. Ben presto un altro uomo si mise a fare l'orologiaio ed offrì i suoi orologi ad un prezzo inferiore per riuscire a venderli. Così anche Andrea fu costretto ad abbassare i prezzi e ben presto i due prezzi scesero. I due orologiai furono costretti ad offrire una qualità migliore ed un prezzo inferiore per poter mantenere la clientela. Questa era la pura e semplice libera concorrenza.
La stessa cosa accadde con i muratori, i trasportatori, i contabili, i contadini ed in ogni altro ramo produttivo. I clienti sceglievano quello che a loro pareva più conveniente poiché avevano libertà di scelta. Non c'erano ancora dei sistemi, come le licenze o i dazi doganali, per impedire ad altre persone di entrare nel commercio. Lo standard di vita aumentò e rapidamente tutti si chiesero come avrebbero fatto senza il sistema monetario. Alla fine dell'anno, Bankenstein uscì dal suo negozio e visitò tutta la gente che gli doveva dei soldi. Qualcuno aveva di più di quello che aveva preso in prestito, ma questo significava che altri ne avevano meno, poiché era stata emessa una quantità definita di moneta. Quelli che avevano più di quello che avevano preso in prestito, restituirono per ogni 100 monete 105 monete, ma dovettero continuare a prenderne in prestito per andare avanti. Gli altri scoprirono per la prima volta che avevano un debito. Prima di dargli altre monete, Bankentein pignorò alcune loro proprietà ed ognuno cercò di darsi da fare per trovare quelle cinque monete in più che sembravano sempre così difficili da conquistare. Nessuno realizzò che, presa nel suo insieme, la comunità non avrebbe mai potuto soddisfare il debito finché tutte le monete non fossero state pagate, ma anche allora sarebbero mancate quelle 5 monete in più che non erano mai state coniate. Solamente Bankenstein si rendeva conto che era impossibile pagare l'interesse - quella moneta in più che non esisteva: qualcuno ci doveva rimettere. E' vero che anche Bankenstein avrebbe dovuto spendere qualche moneta per le sue spese, ma non avrebbe mai potuto spendere il 5% di tutta l'economia solo per sé. C'erano migliaia di persone e Bankenstein era solo uno. Inoltre, era sempre un orafo che faceva già una discreta vita. Nel retrobottega, Bankenstein aveva una cassaforte ed alcuni pensarono che fosse prudente lasciargli in consegna qualche moneta per custodirla. Lui gli caricava sopra una modesta cifra per il deposito: in base alla quantità di moneta ed al tempo del deposito. In cambio, al cliente rilasciava una ricevuta. Quando un cliente andava a far spese, non portava normalmente con sé una gran quantità di monete: piuttosto pagava il negoziante rilasciandogli una delle ricevute delle monete in deposito da Bankenstein. I negozianti riconoscevano la validità e la genuinità delle ricevute e le accettavano con l'idea di poi restituirle a Bankenstein per riavere indietro le monete. Le ricevute passavano di mano in mano al posto delle monete d'oro. La gente riponeva una grande fiducia nelle ricevute e le accettava come fossero monete d'oro. Ben presto, Bankenstein si accorse che difficilmente la gente veniva nel suo negozio per scambiare le ricevute con le monete. Allora si disse: "Ho con me tutte queste monete d'oro in deposito e devo comunque lavorare duramente per guadagnarmi la vita. Non ha senso. Ci sono un sacco di persone che sarebbero disposte a pagarmi un interesse per poterle usare. Quest'oro rimane qui fermo, inutilizzato. E' vero che non è mio: ma è nella mia disponibilità. Questa è la sola cosa che importa. Non ho più bisogno di coniare monete: posso usarne un po' di quelle che sono in deposito".
All'inizio cominciò prestandone solo poche per volta e con estrema cautela. Ma, col passare del tempo, divenne sempre più disinvolto e prestava molta più moneta. Un giorno gli venne richiesto un grosso prestito in monete d'oro. Bankenstein suggerì al cliente: "Invece di trasportare una così grande quantità d'oro, aprirò un deposito a suo nome e le rilascerò ricevute sufficienti per le monete depositate". Il cliente accettò ed uscì dal negozio con una manciata di ricevute. Aveva appena ottenuto un prestito, ma l'oro rimaneva nella cassaforte. Appena il cliente se n'era andato, Bankenstein sorrise. Poteva finalmente avere la botte piena e la moglie ubriaca. Poteva prestare oro e rimanerne in possesso. Amici, stranieri ed addirittura nemici avevano bisogno di fondi per portare avanti i loro affari e, finché potevano offrire garanzie, avrebbero potuto prendere a prestito le somme necessarie. Bankenstein era diventato capace di emettere prestiti per multipli del valore che effettivamente era stato depositato nella sua cassaforte, e pensare che non ne era nemmeno il proprietario! Tutto andava bene finché i veri proprietari non avessero richiesto indietro il loro oro e finché fosse rimasta la fiducia della gente. Bankenstein cominciò a tenere un libro dei debiti e dei crediti per ogni cliente. Il mestiere di prestar soldi si stava rivelando molto lucroso. Il suo livello sociale, all'interno della comunità, aumentava di pari passo con la sua ricchezza. Stava diventando un uomo importante che meritava rispetto. In materia di finanze, la sua parola era come un verdetto sacro. Gli orafi delle altre città cominciarono ad incuriosirsi sulle sue attività e un giorno chiesero di incontrarlo. Lui spiegò quello che stava facendo ma fece attenzione a sottolineare l'importanza della segretezza della cosa. Se il loro piano fosse stato reso noto a tutti, la truffa sarebbe presto finita. Si misero così d'accordo per mantenere la più stretta segretezza sulla loro alleanza. (associazione segreta) Ognuno tornò nella sua città e divenne un altro Bankenstein. La gente ora accettava le ricevute come fossero oro colato. Molte ricevute venivano depositate in cassaforte come se fossero oro. Quando un mercante voleva pagare qualcuno per la sua merce, questi scriveva semplicemente un biglietto con istruzioni per Bankenstein dove indicava a chi andavano trasferiti i fondi da prelevare sul suo conto. Bankenstein ci metteva pochissimo ad effettuare le scritture contabili da un conto all'altro. Questo sistema divenne popolare e questi biglietti di istruzioni vennero chiamati "assegni". A notte fonda, gli orafi fecero un altro incontro segreto con Bankenstein in cui questi spiegò loro un nuovo piano. Il giorno dopo, gli orafi organizzarono una riunione con tutti i governanti e Bankenstein disse: "Le ricevute di deposito che abbiamo emesso sono diventate molto popolari. Non c'è dubbio che molti tra voi le stanno usando e che le trovano molto convenienti". I governanti annuirono mentre si chiedevano dove voleva arrivare."Bene," disse Bankenstein, "alcune di queste ricevute sono state copiate da dei contraffattori. Questa pratica deve finire." I governatori si allarmarono: "Che possiamo fare?". Bankenstein replicò: "Il mio suggerimento è di affidare innanzitutto al governo il compito di stampare le nuove ricevute su carta speciale con stampati disegni complessi, e che ogni ricevuta sia firmata dal governatore capo. Noi orafi saremmo felici di pagare le spese di emissione perché risparmieremmo un sacco di tempo necessario per compilare le nostre ricevute" I governatori pensarono che era una buona idea poiché ritenevano che fosse loro compito proteggere la gente dalla contraffazione. Così furono d'accordo per stampare le ricevute. "In secondo luogo" proseguì Bankenstein,"alcune persone hanno cominciato a fare delle miniere e si stampano le loro monete d'oro. Suggerisco che si faccia una legge che obblighi chiunque trovi una pepita d'oro a consegnarcela. Naturalmente la pagheremo con le ricevute e con le monete d'oro." L'idea sembrava buona e senza troppo pensarci, stamparono un gran numero di ricevute nuove di pacca. Ogni ricevuta aveva stampato un valore: 1, 2, 5, 10 dollari, etc. Il basso costo di stampa veniva pagato dagli orafi. Le note (ricevute) erano molto più facili da trasportare e presto vennero comunemente accettate dalla popolazione. Nonostante la loro popolarità, comunque, queste nuove banconote e monete erano usate solamente nel 10% delle transazioni. I documenti mostravano che le scritture contabili rappresentavano il 90% di tutti gli affari.
Era già pronta la seconda parte del piano.
Fino ad allora, la gente pagava Bankenstein per conservare le loro ricchezze. Per attrarre maggiori depositi, Bankenstein offrì un interesse del 3%. Molti già pensavano che in effetti Bankenstein pagasse loro il 3% mentre riprestava i loro soldi al 5%, guadagnando un 2%. Ma la gente non faceva obiezioni poiché ricevere il 3% sui depositi era sempre meglio che pagare per l'uso della cassaforte. Il volume dei risparmi crebbe e con la moneta in più nelle casseforti, Bankenstein riusciva ad imprestare il doppio il triplo e fino a nove volte il valore delle monete e delle banconote che possedeva. Doveva stare attento a non superare le nove volte poiché una persona su dieci effettivamente chiedeva indietro le monete o le banconote per usarle. Se al momento del ritiro non c'era abbastanza moneta come richiesto, la gente diveniva sospettosa specialmente perché i loro estratti conto mostravano la quantità depositata. Nonostante ciò, sui 900 dollari che Bankenstein creava con le false scritture contabili, riusciva a percepire fino a 45 dollari di interessi, ovvero il 5% di 900 dollari. Quando il prestito veniva ripagato, assieme all'interesse, ovvero 945 dollari, i 900 dollari venivano cancellati dalla colonna dei debiti e Bankenstein si teneva i 45 dollari di interesse. Lui pagava il 3% a chi gli aveva depositato i 100 dollari effettivamente in cassaforte, ovvero tre dollari, ed in cambio, inventandosene 900, ne guadagnava 45, con un netto di 42 dollari. Insomma, per ogni 100 dollari depositati, Bankenstein era capace di guadagnarne 42, mentre la gente pensava ne guadagnasse solo 2. Anche gli altri orafi-Bankenstein facevano la stessa cosa. Creavano monete dal nulla, con un tratto di penna sulle scritture contabili, e ci si facevano pagare sopra gli interessi.(anatocismo) In realtà non coniavano moneta, poiché era il governo che stampava le note e le monete e poi le dava agli orafi per distribuirle. L'unica spesa di Bankenstein era la minima spesa tipografica. Ma gli orafi creavano crediti dal nulla e su questi si facevano pagare gli interessi. (signoraggio) La maggior parte delle persone pensava che la fornitura di moneta fosse una operazione governativa. Essi pensavano anche che Bankenstein prestasse loro la moneta effettivamente depositata da qualcun altro. Ma la cosa strana era che nessun deposito diminuiva, nonostante venissero fatti dei prestiti. Se tutti fossero corsi allo sportello a ritirare i propri soldi, la frode sarebbe saltata agli occhi. Quando veniva richiesto un prestito, in banconote o monete, non c'erano problemi. Bankenstein semplicemente spiegava ai governanti che l'aumento della popolazione e della produzione richiedeva più banconote, e così le otteneva pagando le minime spese di stampa. Un giorno, un uomo senziente andò a trovare Bankenstein. "L'interesse che Lei chiede è sbagliato"- disse. "Per ogni 100 dollari che emette, ne chiede indietro 105. I 5 in più non potranno mai essere pagati perché non esistono. I contadini producono cibo, le industrie producono beni manifatturieri, e così via, ma solamente Lei produce monete. Supponiamo che ci siano solo due imprenditori in questo paese, e che tutti gli altri siano impiegati. Ognuno dei due prende a prestito 100 dollari, ne paga 90 di stipendi e spese varie e gli rimangono 10 dollari di profitto (il suo stipendio). Questo significa che il potere d'acquisto totale è di 90 + 10 dollari per due, ovvero 200 dollari. Ma per ripagarvi, occorre vendere tutta la produzione per 210 dollari. Se uno dei due vende per 105, l'altro non potrà che vendere per 95, ed una parte della merce rimarrà invenduta poiché non v'è moneta per acquistarla. Il secondo imprenditore rimane in debito con voi per 10 dollari e potrà solo ripagarvi prendendone a prestito ancora. Questo sistema è impossibile." L'uomo continuò: "Dovreste emettere 105 dollari, 100 per me e 5 per voi da spendere. In questo modo ci sarebbero 105 dollari in circolazione, ed il debito potrebbe essere ripagato." Bankenstein ascoltò attentamente ed alla fine disse: "L'economia finanziaria è una materia complessa, caro ragazzo. Ci vogliono anni di studio. Lascia che mi occupi io di queste materie e tu pensa agli affari tuoi. Tu devi diventare più efficiente, devi aumentare la produzione, tagliare le spese e diventare un uomo d'affari migliore. Sarò sempre disposto ad aiutarti su questa strada." L'uomo se ne andò ma non era convinto. C'era qualcosa che non tornava nelle operazioni di Bankenstein e si era reso conto che le sue domande erano state aggirate. Certo, molta gente ripetta la parola di Bankenstein: "E' un esperto, gli altri devono aver torto. Guardate come si è sviluppato il paese, come la nostra produzione è aumentata - dobbiamo considerarci ricchi." Per coprire l'interesse della moneta che avevano preso a prestito, i commercianti erano costretti ad aumentare i prezzi. I dipendenti si lamentavano che le paghe erano insufficienti ed i datori di lavoro rifiutavano di aumentare gli stipendi, dicendo che sarebbero andati in rovina. I contadini non riucivano ad ottenere un giusto prezzo per i loro prodotti. Le massaie si lamentavano che il cibo era troppo caro. Alla fine alcuni fecero sciopero, una cosa sino ad allora sconosciuta. Altri venivano colpiti dalla povertà e nemmeno i parenti riuscivano più ad aiutarli. La maggior parte si era scordata del vero valore delle cose che aveva intorno - il suolo fertile, le grandi foreste, i minerali ed il bestiame. Tutti pensavano solo ai soldi che sembravano sempre troppo scarsi. Ma la gente non metteva mai in dubbio il sistema e pensavano che fosse il governo a gestirlo. Alcune persone si misero assieme accomunando i soldi che avevano in eccesso e crearono delle società di finanziamenti e prestiti. In questo modo, poterono richiedere il 6% di interessi, che era di più del 3% richiesto da Bankenstein. Ma loro potevano solo prestare il denaro che avevano e non disponevano del magico potere di Bankenstein di crearlo dal niente semplicemente falsificando le scritture contabili. Queste società finanziarie infastidivano in qualche modo Bankenstein ed i suoi compari, così questi ultimi misero su delle società simili per conto loro. Per la maggior parte acquistarono le società concorrenti, o ne assunsero il controllo, in modo che tutto il mercato del credito fosse in mano loro.(monopolio)
I dipendenti erano convinti che i loro capi facevano troppi profitti. I proprietari dicevano che i lavoratori erano troppo pigri e che non lavoravano onestamente. Ognuno dava la colpa all'altro. Il governo non riusciva a trovare una risposta mentre il problema immediato diventava di prendersi cura di chi era colpito dalla povertà. I governanti cominciarono a creare degli schemi di assistenza sociale e promulgarono leggi che obbligavano la gente a con tribuire. Questo fece arrabbiare parecchia gente che pensava che la carità fosse un atto volontario. "Queste leggi non sono nient'altro che una rapina legalizzata. Prendere qualcosa a qualcuno contro la sua volontà, al di là dello scopo per cui lo si faccia, non è differente dal rubare." Ma ognuno si sentiva indifeso ed era terrorizzato dalla possibilità di finire in galera se non avesse pagato. Gli schemi di assistenza sociale sembravano dare un qualche sollievo, ma ben presto il problema si ripresentò e fu necessario raccogliere altri soldi. Il costo di questo assistenzialismo aumentava di pari passo con la dimensione dell'amministrazione governativa. Molti governanti erano persone sinceramente orientate a fare del loro meglio. Questi non amavano chiedere ancora più soldi al loro popolo e, alla fine, risolsero di chiederlo in prestito a Bankenstein ed ai suoi compari. I governanti non avevano idea di come ripagare i debiti contratti. I genitori non poterono più pagare i maestri per i loro bambini, né i dottori. Gli operatori dei trasporti cominciavano a fallire. Alla fine il governo venne costretto ad assumersi tutti questi servizi ad uno ad uno. Insegnanti, dottori ed altri, divennero dipendenti pubblici. Pochi erano soddisfatti del loro lavoro: avevano ora un stipendio assicurato ma perdevano la loro identità. Erano diventati i piccoli ingranaggi di una macchina gigantesca. Non c'era più spazio per l'iniziativa personale, per un riconoscimento dei meriti: lo stipendio era prefissato e le promozioni arrivavano solo se andavano in pensione o morivano i loro superiori. Nella più completa disperazione, i governanti chiesero consiglio a Bankenstein. Infatti lo consideravano come un saggio e questi sembrava sempre sapere come risolvere i problemi monetari. Bankenstein li ascoltò mentre essi illustravano tutti i loro problemi, ed alla fine disse: "Molta gente non è capace di risolvere da sé i propri problemi - hanno bisogno di qualcuno che lo faccia per loro. E' ovvio che siete d'accordo sul fatto che la maggior parte della gente ha il diritto di essere felice e di essere fornita con i beni essenziali per vivere.
Uno dei nostri detti è: tutti sono uguali - o no? Bene, l'unico modo per bilanciare la situazione è di prendere la ricchezza dai ricchi e darla ai poveri. Introducete un sistema di tassazione. Più uno guadagna, più deve pagare. Raccogliete le tasse da tutti secondo le loro capacità e datele a tutti secondo i loro bisogni. Le scuole e gli ospedali saranno gratuiti per quelli che non potranno permetterseli." Bankenstein fece un bel discorso infarcito di alti ideali e concluse: "A proposito, ricordatevi che mi dovete dei soldi. E' da un po' che mi avete richiesto prestiti. L'unica cosa che posso fare per aiutarvi, è di chiedervi di ripagare solo l'interesse. Il capitale rimarrà lì fermo." Essi se ne andarono e senza riflettere a fondo sulle considerazioni di bankenstein, introdussero la tassa progressiva sul reddito. Più uno guadagnava, più pagava. Questo sistema non piaceva a nessuno, ma o pagavano o finivano in prigione. I commercianti furono costretti ad aumentare ulteriormente i loro prezzi. I dipendenti chiesero stipendi più alti costringendo gli imprenditori più deboli a chiudere - o a rimpiazzare i lavoratori con le macchine. Questo causò ancor più disoccupazione che costringeva il governo ad aumentare lo stato sociale e gli interventi assistenziali. Vennero introdotti dazi doganali ed altri sistemi protezionistici allo scopo di tenere a galla qualche industria per mantenere un minimo di occupazione. Alcuni cominciarono a chiedersi se lo scopo della produzione fosse quello di produrre merci o semplicemente di offrire assunzioni. Mentre le cose peggioravano, cercarono di attuare il controllo degli stipendi, dei prezzi, e di quant'altro. Il governo cercò di aumentare le tasse in tutti i modi possibili. Qualcuno notò che su un filone di pane, dal grano del contadino fino al fornaio, c'erano più di 50 tasse. Arrivarono gli "esperti" e qualcuno andò al governo. Ma nonostante le annuali riunioni, non riuscivano ad ottenere niente a parte gli articoli di stampa che dicevano che le tasse andavano "ristrutturate", ma alla fine aumentavano sempre. Bankenstein cominciò a richiedere indietro gli interessi "dovuti" ed una fetta sempre maggiore del prodotto interno lordo andava sprecato nel ripagamento della sua truffa contabile (in Italia siamo al 106% di debito pubblico rispetto al PIL: produciamo 100 ma siamo "indebitati" per 106). Si formarono quindi dei partiti politici e la gente cominciò a chiedersi chi poteva meglio risolvere i suoi problemi. I partiti parlavano di tutto, delle personalità, degli ideali, delle ideologie, di tutto fuorché del vero problema. (omertà) I Comuni cominciarono ad avere delle difficoltà. In una delle città l'interesse sul debito era superiore alle tasse raccolte in un anno. Attraverso il paese, l'interesse non pagato aumentava. L'anno dopo, venivano calcolati gli interessi sull'interesse,incrementando ulteriormente il debito.
Lentamente ma inesorabilmente, la ricchezza del Paese diventava possesso o era sotto il controllo di Bankenstein e della sua cosca, parallelamente molta gente ne diveniva schiava. Ma il controllo sulla gente non era ancora completo ed i malviventi non sarebbero stati al sicuro finché non lo fosse stato. La maggior parte delle persone che osavano opporsi, poteva essere silenziata attraverso la pressione finanziaria o venendo ridicolizzata. Per ottenere lo scopo, la cosca di Bankenstein comprò la maggior parte dei giornali, delle radio e delle televisioni selezionando accuratamente le persone che vi avrebbero operato. Molte persone avevano un sincero desiderio di migliorare il mondo, ma non realizzavano di essere strumentalizzate. Si occupavano sempre degli effetti dei problemi trascurandone le cause. C'erano vari giornali: uno per la destra, uno per la sinistra, uno per i salariati ed uno per i padroni, e così via. Non aveva molto significato a quale gruppo uno appartenesse, l'importante era di non guardare in faccia i problemi reali. (omertà) Il piano di Bankenstein era quasi completo - tutta la nazione era indebitata con lui. Attraverso l'educazione ed i media, Bankenstein controllava la mente delle persone. Queste potevano solo pensare quello che decideva lui. Quando un uomo ha più soldi di quanti mai ne possa spendere per soddisfare i suoi piaceri, che cosa più lo può eccitare? Per quelli che hanno la mentalità della classe dirigente, la risposta è il potere - il puro potere dell'uomo sull'uomo. Anche gli idealisti venivano assunti nei media e nel governo, ma i veri camerieri che Bankenstein cercava erano quelli con la mentalità della classe dirigente. La maggior parte degli orafi avevano scelto questa strada. Essi conoscevano l'eccitazione della grande ricchezza, ma non ne erano più soddisfatti. Avevano bisogno di una sfida più eccitante ed il gioco finale era il potere sulle masse. Essi credevano di essere superiori a tutti gli altri:"E' nostro dovere e diritto governare. Le masse non sanno cosa è bene per loro. Hanno bisogno di essere inquadrati ed organizzati. Governare è il nostro diritto dalla nascita." Attraverso tutto il paese, Bankenstein ed i suoi picciotti possedevano molti uffici di prestito. Certo, erano di proprietà privata ed erano separati l'un l'altro. In teoria, erano in concorrenza l'uno con l'altro, ma in realtà lavoravano gomito a gomito.
Dopo aver convinto alcuni governanti, misero su una istituzione che chiamarono la "Banda Centrale". Non usarono neppure i loro soldi per crearla: crearono del credito utilizzando i depositi della stessa popolazione. Questa istituzione aveva la sembianza di una operazione del governo tesa a regolare la fornitura della moneta, ma stranamente, nessun funzionario pubblico venne mai ammesso nel consiglio d'amministrazione. Il governo non prendeva più a prestito direttamente da Bankenstein, ma cominciò ad usare un sistema di cambiali che scontava presso la Banda Centrale. I Buoni del Tesoro offerti non erano altro che la promessa di future tasse da riscuotere dai cittadini. Questo era confacente al piano di Bankenstein: far sì che la sua rapina sembrasse una operazione governativa. Ma dietro le scene, il burattinaio era sempre lo stesso. Indirettamente, Bankenstein aveva un tale controllo sull'operato del governo che quest'ultimo non aveva più scelta. Bankenstein amava dire in privato: "Datemi il controllo sulla moneta di una nazione e non mi fregherà niente di chi fa le leggi". Non aveva alcuna importanza quali fossero i governanti di volta in volta eletti, Bankenstein aveva il controllo della moneta, la linfa vitale della nazione. Il governo otteneva i soldi, ma ogni volta veniva caricato l'interesse su ogni prestito. Sempre più risorse venivano bruciate in progetti assistenzialisti e, ben presto, il governo non fu più nemmeno in grado di pagare l'interesse, figuriamoci il capitale. (pizzo) Ancora si trovavano delle persone che ponevano la domanda: "La moneta è una creazione dell'uomo. Non può essere aggiustata per servire l'uomo invece di comandarlo?" Ma queste persone diminuivano sempre più e le loro voci si sperdevano nel folle trambusto per l'interesse inesistente. Le amministrazioni cambiavano, i partiti cambiavano di nome, ma le politiche continuavano uguali. Al di là di qualsiasi governo che fosse al "potere", l'obiettivo di Bankenstein si avvicinava sempre più ogni anno che passava. Le politiche della gente non contavano niente. Il popolo veniva tassato al limite, non poteva ormai pagare di più. Era giunto il momento per l'ultima mossa di Bankenstein.
Il 10% della moneta era ancora sotto forma di banconote e monete. Queste dovevano essere abolite in un modo da non destare sospetti. Finché la gente usava il contante, essa era libera di acquistare quello che voleva, mantenendo ancora un qualche controllo sulla propria vita. Andare in giro con somme in contanti non era abbastanza sicuro, data la povertà e la disperazione diffusa causate dalla cosca di bankenstein: si poteva essere anche rapinati da qualcun altro! Gli assegni non venivano accettati al di fuori della comunità locale e quindi si doveva pensare ad un sistema più efficiente per sostituire il contante. Ancora una volta, Bankenstein aveva pronta la risposta. La sua cosca creò una carta di plastica personalizzata che mostrava il nome, la foto ed un numero d'identificazione del portatore. Ogni volta che questa carta veniva presentata, il negoziante telefonava al computer centrale per controllarne il credito. Se era a posto, la persona poteva fare acquisti fino ad un certo importo. All'inizio le persone vennero autorizzate a spendere una piccola somma, e se questa veniva ripagata entro il mese, non veniva addebitato alcun interesse. Questo poteva andar bene per il dipendente, ma l'uomo d'affari come poteva fare? Egli doveva acquistare macchinari, materie prime, pagare i dipendenti, etc. Vendendo poi i prodotti, ripagava il credito utilizzato. Se un mese non ce la faceva, gli veniva caricato un interesse di 1,5% al mese. In un anno, l'interesse composto superava il 18%. Gli uomini d'affari non avevano altra possibilità che aggiungere questo costo al prezzo finale dei loro prodotti. Anche se questa moneta e credito (circa 18%) non era stato prestato a nessuno. In tutto il paese, agli imprenditori venne addossato il compito impossibile di ripagare i 100 dollari presi a prestito con 118 dollari di cui 18 non sono mai esistiti.
Ma Bankenstein ed i suoi picciotti acquisivano sempre più prestigio nella società. Venivano considerati come pilastri di rispettabilità, dei veri e propri uomini d'onore. Le loro affermazioni sulle questioni finanziarie ed economiche venivano seguite con fede religiosa. Sotto il fardello di tasse sempre maggiori, molte piccole imprese collassarono. Per effettuare delle attività venivano richieste licenze specifiche, chi non le aveva non poteva reinserirsi. Bankenstein controllava tutte le grandi società che avevano centinaia di filiali e sussidiarie. Queste sembravano in concorrenza tra loro, ma lui le controllava tutte. Gli eventuali concorrenti venivano sistematicamente eliminati. Gli elettricisti, gli idraulici, i tappezzieri: tutti subirono lo stesso fato. Vennero fagocitati dalle società giganti di bankenstein che ricevevano i sussidi governativi. Bankenstein aveva voluto le carte di credito per eliminare i contanti: una volta che questi fossero spariti, solo chi possedeva la carta di credito avrebbe potuto sopravvivere. Egli pianificò che chi avrebbe perso la carta di credito, sarebbe stato impossibilitato a vendere od ad acquistare qualsiasi cosa, fino a che non ne fosse stata verificata l'identità. Per questo propose una legge che imponeva a tutti di fare un tatuaggio di identificazione sulla mano, un tatuaggio rilevabile da uno speciale lettore collegato al computer.
Ogni computer sarebbe stato collegato al computer centrale dimodoché, di ognuno, si potesse sapere dove era e cosa stesse facendo, in qualsiasi momento.
Bankenstein era eccitato mentre ancora una volta si ripeteva il discorso che avrebbe tenuto alla gente che si sarebbe presentata all'indomani. Aveva sempre cercato il prestigio ed il potere ed ora il suo sogno stava per realizzarsi. Bankenstein era un artigiano orafo che lavorava con l'oro e con l'argento, producendo gioielli ed ornamenti, ma non gli bastava lavorare per vivere. Aveva bisogno di emozioni, di una sfida, ed ora il piano era pronto. Per generazioni la gente aveva usato il sistema del baratto. Una persona manteneva la sua famiglia provvedendo a tutti i suoi bisogni, oppure si specializzava in un particolare tipo di commercio e scambiava con altri le eccedenze per procurarsi i beni che non produceva direttamente. I giorni di mercato erano sempre rumorosi ed allegri. La gente gridava le proprie merci e le persone avevano occasione di fare nuove conoscenze. Ma ormai c'erano troppa gente e troppe discussioni. Non c'era più tempo per scambiare due chiacchiere - bisognava escogitare un nuovo sistema. In generale la gente era felice e godeva dei frutti del proprio lavoro. In ogni comunità si era formato un semplice sistema di governo per assicurare a tutti l'esercizio dei propri diritti e delle libertà e perché nessuno venisse obbligato a fare cose contro la sua volontà, costretto da parte di altre persone o altri gruppi di uomini.
Questo era l'unico scopo del governo ed ogni governatore era promosso ed eletto dalla comunità locale. Tuttavia, i giorni di mercato ponevano dei problemi da risolvere: un coltello valeva uno o due sacchi di grano? Una mucca valeva più di un carro? E così via. Nessuno aveva pensato ad un sistema migliore. Ma era apparso Bankenstein che aveva fatto un annuncio: "Ho trovato una soluzione ai nostri problemi di baratto ed invito la cittadinanza ad una riunione domattina". Il giorno dopo si era creata una grande adunanza nella piazza centrale del paese e Bankenstein cominciò a spiegare tutto sul nuovo sistema che aveva inventato e che si chiamava "moneta". Suonava bene. Da dove cominciamo? - chiese la gente. L'oro che uso per fare gioielli ed ornamenti è un metallo eccellente. Non si arrugginisce né si sciupa con il tempo. Batterò della moneta in oro e chiameremo queste monete 'dollari'." Bankenstein spiegò il sistema dei valori ed illustrò come la moneta sarebbe stato un sistema di scambio migliore del baratto. Uno dei governanti notò: "La gente potrebbe cominciare a scavare l'oro ed a farsi le proprie monete". "Questo non sarebbe corretto" - disse subito Bankenstein. "Solamente le monete approvate dal Governo potranno avere corso legale e queste avranno un particolare marchio di riconoscimento". La cosa sembrò ragionevole e venne proposto di distribuire le monete in parti uguali alla popolazione. Ma il fabbricante di candele disse: "Io ne merito di più perché ognuno usa le mie candele". "No" disse il contadino. "Senza cibo non c'è vita quindi siamo noi che ne dobbiamo avere di più". Ed il battibecco continuò.
Bankenstein li lasciò discutere per un po' ed alla fine disse: "Poiché nessuno riesce a mettersi d'accordo, suggerisco che ne riceviate l'ammontare che mi chiederete. Non c'è un limite se non la vostra capacità di restituirmele. Più ne avrete e più dovrete restituirmene nell'arco di un anno". "E che cosa avrai in cambio?" chiese la gente. "Poiché offro un servizio, ovvero la distribuzione della moneta, devo essere pagato per il mio lavoro. Diciamo che per 100 monete, me ne dovrete 105 per ogni anno di indebitamento.Le 5 saranno il mio ricarico e lo chiamerò 'interesse'. Sembrava non ci fosse altra soluzione ed il 5% sembrò una cifra ragionevole. Fissarono di cominciare col nuovo sistema il venerdì successivo. Bankenstein non perse tempo: stampò monete giorno e notte e per la fine della settimana era pronto. La gente faceva la coda al suo negozio e, dopo che le monete furono controllate dai governatori, si cominciò col nuovo sistema. Qualcuno ne prese a prestito poche, giusto per provare come funzionava. Scoprirono che la moneta era una cosa meravigliosa e ben presto ogni prodotto ebbe il suo prezzo in monete d'oro o dollari. Il valore attribuito ad ogni oggetto venne chiamato "prezzo". Il prezzo dipendeva soprattutto dalla quantità di lavoro necessaria per produrre il bene. Se ci voleva molto lavoro, il prezzo era alto. Se invece il lavoro necessario era poco, il prezzo era economico. In una città viveva Andrea, che era l'unico orologiaio. I suoi prezzi erano cari perché i clienti erano disposti a pagare per avere proprio uno dei suoi orologi. Ben presto un altro uomo si mise a fare l'orologiaio ed offrì i suoi orologi ad un prezzo inferiore per riuscire a venderli. Così anche Andrea fu costretto ad abbassare i prezzi e ben presto i due prezzi scesero. I due orologiai furono costretti ad offrire una qualità migliore ed un prezzo inferiore per poter mantenere la clientela. Questa era la pura e semplice libera concorrenza.
La stessa cosa accadde con i muratori, i trasportatori, i contabili, i contadini ed in ogni altro ramo produttivo. I clienti sceglievano quello che a loro pareva più conveniente poiché avevano libertà di scelta. Non c'erano ancora dei sistemi, come le licenze o i dazi doganali, per impedire ad altre persone di entrare nel commercio. Lo standard di vita aumentò e rapidamente tutti si chiesero come avrebbero fatto senza il sistema monetario. Alla fine dell'anno, Bankenstein uscì dal suo negozio e visitò tutta la gente che gli doveva dei soldi. Qualcuno aveva di più di quello che aveva preso in prestito, ma questo significava che altri ne avevano meno, poiché era stata emessa una quantità definita di moneta. Quelli che avevano più di quello che avevano preso in prestito, restituirono per ogni 100 monete 105 monete, ma dovettero continuare a prenderne in prestito per andare avanti. Gli altri scoprirono per la prima volta che avevano un debito. Prima di dargli altre monete, Bankentein pignorò alcune loro proprietà ed ognuno cercò di darsi da fare per trovare quelle cinque monete in più che sembravano sempre così difficili da conquistare. Nessuno realizzò che, presa nel suo insieme, la comunità non avrebbe mai potuto soddisfare il debito finché tutte le monete non fossero state pagate, ma anche allora sarebbero mancate quelle 5 monete in più che non erano mai state coniate. Solamente Bankenstein si rendeva conto che era impossibile pagare l'interesse - quella moneta in più che non esisteva: qualcuno ci doveva rimettere. E' vero che anche Bankenstein avrebbe dovuto spendere qualche moneta per le sue spese, ma non avrebbe mai potuto spendere il 5% di tutta l'economia solo per sé. C'erano migliaia di persone e Bankenstein era solo uno. Inoltre, era sempre un orafo che faceva già una discreta vita. Nel retrobottega, Bankenstein aveva una cassaforte ed alcuni pensarono che fosse prudente lasciargli in consegna qualche moneta per custodirla. Lui gli caricava sopra una modesta cifra per il deposito: in base alla quantità di moneta ed al tempo del deposito. In cambio, al cliente rilasciava una ricevuta. Quando un cliente andava a far spese, non portava normalmente con sé una gran quantità di monete: piuttosto pagava il negoziante rilasciandogli una delle ricevute delle monete in deposito da Bankenstein. I negozianti riconoscevano la validità e la genuinità delle ricevute e le accettavano con l'idea di poi restituirle a Bankenstein per riavere indietro le monete. Le ricevute passavano di mano in mano al posto delle monete d'oro. La gente riponeva una grande fiducia nelle ricevute e le accettava come fossero monete d'oro. Ben presto, Bankenstein si accorse che difficilmente la gente veniva nel suo negozio per scambiare le ricevute con le monete. Allora si disse: "Ho con me tutte queste monete d'oro in deposito e devo comunque lavorare duramente per guadagnarmi la vita. Non ha senso. Ci sono un sacco di persone che sarebbero disposte a pagarmi un interesse per poterle usare. Quest'oro rimane qui fermo, inutilizzato. E' vero che non è mio: ma è nella mia disponibilità. Questa è la sola cosa che importa. Non ho più bisogno di coniare monete: posso usarne un po' di quelle che sono in deposito".
All'inizio cominciò prestandone solo poche per volta e con estrema cautela. Ma, col passare del tempo, divenne sempre più disinvolto e prestava molta più moneta. Un giorno gli venne richiesto un grosso prestito in monete d'oro. Bankenstein suggerì al cliente: "Invece di trasportare una così grande quantità d'oro, aprirò un deposito a suo nome e le rilascerò ricevute sufficienti per le monete depositate". Il cliente accettò ed uscì dal negozio con una manciata di ricevute. Aveva appena ottenuto un prestito, ma l'oro rimaneva nella cassaforte. Appena il cliente se n'era andato, Bankenstein sorrise. Poteva finalmente avere la botte piena e la moglie ubriaca. Poteva prestare oro e rimanerne in possesso. Amici, stranieri ed addirittura nemici avevano bisogno di fondi per portare avanti i loro affari e, finché potevano offrire garanzie, avrebbero potuto prendere a prestito le somme necessarie. Bankenstein era diventato capace di emettere prestiti per multipli del valore che effettivamente era stato depositato nella sua cassaforte, e pensare che non ne era nemmeno il proprietario! Tutto andava bene finché i veri proprietari non avessero richiesto indietro il loro oro e finché fosse rimasta la fiducia della gente. Bankenstein cominciò a tenere un libro dei debiti e dei crediti per ogni cliente. Il mestiere di prestar soldi si stava rivelando molto lucroso. Il suo livello sociale, all'interno della comunità, aumentava di pari passo con la sua ricchezza. Stava diventando un uomo importante che meritava rispetto. In materia di finanze, la sua parola era come un verdetto sacro. Gli orafi delle altre città cominciarono ad incuriosirsi sulle sue attività e un giorno chiesero di incontrarlo. Lui spiegò quello che stava facendo ma fece attenzione a sottolineare l'importanza della segretezza della cosa. Se il loro piano fosse stato reso noto a tutti, la truffa sarebbe presto finita. Si misero così d'accordo per mantenere la più stretta segretezza sulla loro alleanza. (associazione segreta) Ognuno tornò nella sua città e divenne un altro Bankenstein. La gente ora accettava le ricevute come fossero oro colato. Molte ricevute venivano depositate in cassaforte come se fossero oro. Quando un mercante voleva pagare qualcuno per la sua merce, questi scriveva semplicemente un biglietto con istruzioni per Bankenstein dove indicava a chi andavano trasferiti i fondi da prelevare sul suo conto. Bankenstein ci metteva pochissimo ad effettuare le scritture contabili da un conto all'altro. Questo sistema divenne popolare e questi biglietti di istruzioni vennero chiamati "assegni". A notte fonda, gli orafi fecero un altro incontro segreto con Bankenstein in cui questi spiegò loro un nuovo piano. Il giorno dopo, gli orafi organizzarono una riunione con tutti i governanti e Bankenstein disse: "Le ricevute di deposito che abbiamo emesso sono diventate molto popolari. Non c'è dubbio che molti tra voi le stanno usando e che le trovano molto convenienti". I governanti annuirono mentre si chiedevano dove voleva arrivare."Bene," disse Bankenstein, "alcune di queste ricevute sono state copiate da dei contraffattori. Questa pratica deve finire." I governatori si allarmarono: "Che possiamo fare?". Bankenstein replicò: "Il mio suggerimento è di affidare innanzitutto al governo il compito di stampare le nuove ricevute su carta speciale con stampati disegni complessi, e che ogni ricevuta sia firmata dal governatore capo. Noi orafi saremmo felici di pagare le spese di emissione perché risparmieremmo un sacco di tempo necessario per compilare le nostre ricevute" I governatori pensarono che era una buona idea poiché ritenevano che fosse loro compito proteggere la gente dalla contraffazione. Così furono d'accordo per stampare le ricevute. "In secondo luogo" proseguì Bankenstein,"alcune persone hanno cominciato a fare delle miniere e si stampano le loro monete d'oro. Suggerisco che si faccia una legge che obblighi chiunque trovi una pepita d'oro a consegnarcela. Naturalmente la pagheremo con le ricevute e con le monete d'oro." L'idea sembrava buona e senza troppo pensarci, stamparono un gran numero di ricevute nuove di pacca. Ogni ricevuta aveva stampato un valore: 1, 2, 5, 10 dollari, etc. Il basso costo di stampa veniva pagato dagli orafi. Le note (ricevute) erano molto più facili da trasportare e presto vennero comunemente accettate dalla popolazione. Nonostante la loro popolarità, comunque, queste nuove banconote e monete erano usate solamente nel 10% delle transazioni. I documenti mostravano che le scritture contabili rappresentavano il 90% di tutti gli affari.
Era già pronta la seconda parte del piano.
Fino ad allora, la gente pagava Bankenstein per conservare le loro ricchezze. Per attrarre maggiori depositi, Bankenstein offrì un interesse del 3%. Molti già pensavano che in effetti Bankenstein pagasse loro il 3% mentre riprestava i loro soldi al 5%, guadagnando un 2%. Ma la gente non faceva obiezioni poiché ricevere il 3% sui depositi era sempre meglio che pagare per l'uso della cassaforte. Il volume dei risparmi crebbe e con la moneta in più nelle casseforti, Bankenstein riusciva ad imprestare il doppio il triplo e fino a nove volte il valore delle monete e delle banconote che possedeva. Doveva stare attento a non superare le nove volte poiché una persona su dieci effettivamente chiedeva indietro le monete o le banconote per usarle. Se al momento del ritiro non c'era abbastanza moneta come richiesto, la gente diveniva sospettosa specialmente perché i loro estratti conto mostravano la quantità depositata. Nonostante ciò, sui 900 dollari che Bankenstein creava con le false scritture contabili, riusciva a percepire fino a 45 dollari di interessi, ovvero il 5% di 900 dollari. Quando il prestito veniva ripagato, assieme all'interesse, ovvero 945 dollari, i 900 dollari venivano cancellati dalla colonna dei debiti e Bankenstein si teneva i 45 dollari di interesse. Lui pagava il 3% a chi gli aveva depositato i 100 dollari effettivamente in cassaforte, ovvero tre dollari, ed in cambio, inventandosene 900, ne guadagnava 45, con un netto di 42 dollari. Insomma, per ogni 100 dollari depositati, Bankenstein era capace di guadagnarne 42, mentre la gente pensava ne guadagnasse solo 2. Anche gli altri orafi-Bankenstein facevano la stessa cosa. Creavano monete dal nulla, con un tratto di penna sulle scritture contabili, e ci si facevano pagare sopra gli interessi.(anatocismo) In realtà non coniavano moneta, poiché era il governo che stampava le note e le monete e poi le dava agli orafi per distribuirle. L'unica spesa di Bankenstein era la minima spesa tipografica. Ma gli orafi creavano crediti dal nulla e su questi si facevano pagare gli interessi. (signoraggio) La maggior parte delle persone pensava che la fornitura di moneta fosse una operazione governativa. Essi pensavano anche che Bankenstein prestasse loro la moneta effettivamente depositata da qualcun altro. Ma la cosa strana era che nessun deposito diminuiva, nonostante venissero fatti dei prestiti. Se tutti fossero corsi allo sportello a ritirare i propri soldi, la frode sarebbe saltata agli occhi. Quando veniva richiesto un prestito, in banconote o monete, non c'erano problemi. Bankenstein semplicemente spiegava ai governanti che l'aumento della popolazione e della produzione richiedeva più banconote, e così le otteneva pagando le minime spese di stampa. Un giorno, un uomo senziente andò a trovare Bankenstein. "L'interesse che Lei chiede è sbagliato"- disse. "Per ogni 100 dollari che emette, ne chiede indietro 105. I 5 in più non potranno mai essere pagati perché non esistono. I contadini producono cibo, le industrie producono beni manifatturieri, e così via, ma solamente Lei produce monete. Supponiamo che ci siano solo due imprenditori in questo paese, e che tutti gli altri siano impiegati. Ognuno dei due prende a prestito 100 dollari, ne paga 90 di stipendi e spese varie e gli rimangono 10 dollari di profitto (il suo stipendio). Questo significa che il potere d'acquisto totale è di 90 + 10 dollari per due, ovvero 200 dollari. Ma per ripagarvi, occorre vendere tutta la produzione per 210 dollari. Se uno dei due vende per 105, l'altro non potrà che vendere per 95, ed una parte della merce rimarrà invenduta poiché non v'è moneta per acquistarla. Il secondo imprenditore rimane in debito con voi per 10 dollari e potrà solo ripagarvi prendendone a prestito ancora. Questo sistema è impossibile." L'uomo continuò: "Dovreste emettere 105 dollari, 100 per me e 5 per voi da spendere. In questo modo ci sarebbero 105 dollari in circolazione, ed il debito potrebbe essere ripagato." Bankenstein ascoltò attentamente ed alla fine disse: "L'economia finanziaria è una materia complessa, caro ragazzo. Ci vogliono anni di studio. Lascia che mi occupi io di queste materie e tu pensa agli affari tuoi. Tu devi diventare più efficiente, devi aumentare la produzione, tagliare le spese e diventare un uomo d'affari migliore. Sarò sempre disposto ad aiutarti su questa strada." L'uomo se ne andò ma non era convinto. C'era qualcosa che non tornava nelle operazioni di Bankenstein e si era reso conto che le sue domande erano state aggirate. Certo, molta gente ripetta la parola di Bankenstein: "E' un esperto, gli altri devono aver torto. Guardate come si è sviluppato il paese, come la nostra produzione è aumentata - dobbiamo considerarci ricchi." Per coprire l'interesse della moneta che avevano preso a prestito, i commercianti erano costretti ad aumentare i prezzi. I dipendenti si lamentavano che le paghe erano insufficienti ed i datori di lavoro rifiutavano di aumentare gli stipendi, dicendo che sarebbero andati in rovina. I contadini non riucivano ad ottenere un giusto prezzo per i loro prodotti. Le massaie si lamentavano che il cibo era troppo caro. Alla fine alcuni fecero sciopero, una cosa sino ad allora sconosciuta. Altri venivano colpiti dalla povertà e nemmeno i parenti riuscivano più ad aiutarli. La maggior parte si era scordata del vero valore delle cose che aveva intorno - il suolo fertile, le grandi foreste, i minerali ed il bestiame. Tutti pensavano solo ai soldi che sembravano sempre troppo scarsi. Ma la gente non metteva mai in dubbio il sistema e pensavano che fosse il governo a gestirlo. Alcune persone si misero assieme accomunando i soldi che avevano in eccesso e crearono delle società di finanziamenti e prestiti. In questo modo, poterono richiedere il 6% di interessi, che era di più del 3% richiesto da Bankenstein. Ma loro potevano solo prestare il denaro che avevano e non disponevano del magico potere di Bankenstein di crearlo dal niente semplicemente falsificando le scritture contabili. Queste società finanziarie infastidivano in qualche modo Bankenstein ed i suoi compari, così questi ultimi misero su delle società simili per conto loro. Per la maggior parte acquistarono le società concorrenti, o ne assunsero il controllo, in modo che tutto il mercato del credito fosse in mano loro.(monopolio)
I dipendenti erano convinti che i loro capi facevano troppi profitti. I proprietari dicevano che i lavoratori erano troppo pigri e che non lavoravano onestamente. Ognuno dava la colpa all'altro. Il governo non riusciva a trovare una risposta mentre il problema immediato diventava di prendersi cura di chi era colpito dalla povertà. I governanti cominciarono a creare degli schemi di assistenza sociale e promulgarono leggi che obbligavano la gente a con tribuire. Questo fece arrabbiare parecchia gente che pensava che la carità fosse un atto volontario. "Queste leggi non sono nient'altro che una rapina legalizzata. Prendere qualcosa a qualcuno contro la sua volontà, al di là dello scopo per cui lo si faccia, non è differente dal rubare." Ma ognuno si sentiva indifeso ed era terrorizzato dalla possibilità di finire in galera se non avesse pagato. Gli schemi di assistenza sociale sembravano dare un qualche sollievo, ma ben presto il problema si ripresentò e fu necessario raccogliere altri soldi. Il costo di questo assistenzialismo aumentava di pari passo con la dimensione dell'amministrazione governativa. Molti governanti erano persone sinceramente orientate a fare del loro meglio. Questi non amavano chiedere ancora più soldi al loro popolo e, alla fine, risolsero di chiederlo in prestito a Bankenstein ed ai suoi compari. I governanti non avevano idea di come ripagare i debiti contratti. I genitori non poterono più pagare i maestri per i loro bambini, né i dottori. Gli operatori dei trasporti cominciavano a fallire. Alla fine il governo venne costretto ad assumersi tutti questi servizi ad uno ad uno. Insegnanti, dottori ed altri, divennero dipendenti pubblici. Pochi erano soddisfatti del loro lavoro: avevano ora un stipendio assicurato ma perdevano la loro identità. Erano diventati i piccoli ingranaggi di una macchina gigantesca. Non c'era più spazio per l'iniziativa personale, per un riconoscimento dei meriti: lo stipendio era prefissato e le promozioni arrivavano solo se andavano in pensione o morivano i loro superiori. Nella più completa disperazione, i governanti chiesero consiglio a Bankenstein. Infatti lo consideravano come un saggio e questi sembrava sempre sapere come risolvere i problemi monetari. Bankenstein li ascoltò mentre essi illustravano tutti i loro problemi, ed alla fine disse: "Molta gente non è capace di risolvere da sé i propri problemi - hanno bisogno di qualcuno che lo faccia per loro. E' ovvio che siete d'accordo sul fatto che la maggior parte della gente ha il diritto di essere felice e di essere fornita con i beni essenziali per vivere.
Uno dei nostri detti è: tutti sono uguali - o no? Bene, l'unico modo per bilanciare la situazione è di prendere la ricchezza dai ricchi e darla ai poveri. Introducete un sistema di tassazione. Più uno guadagna, più deve pagare. Raccogliete le tasse da tutti secondo le loro capacità e datele a tutti secondo i loro bisogni. Le scuole e gli ospedali saranno gratuiti per quelli che non potranno permetterseli." Bankenstein fece un bel discorso infarcito di alti ideali e concluse: "A proposito, ricordatevi che mi dovete dei soldi. E' da un po' che mi avete richiesto prestiti. L'unica cosa che posso fare per aiutarvi, è di chiedervi di ripagare solo l'interesse. Il capitale rimarrà lì fermo." Essi se ne andarono e senza riflettere a fondo sulle considerazioni di bankenstein, introdussero la tassa progressiva sul reddito. Più uno guadagnava, più pagava. Questo sistema non piaceva a nessuno, ma o pagavano o finivano in prigione. I commercianti furono costretti ad aumentare ulteriormente i loro prezzi. I dipendenti chiesero stipendi più alti costringendo gli imprenditori più deboli a chiudere - o a rimpiazzare i lavoratori con le macchine. Questo causò ancor più disoccupazione che costringeva il governo ad aumentare lo stato sociale e gli interventi assistenziali. Vennero introdotti dazi doganali ed altri sistemi protezionistici allo scopo di tenere a galla qualche industria per mantenere un minimo di occupazione. Alcuni cominciarono a chiedersi se lo scopo della produzione fosse quello di produrre merci o semplicemente di offrire assunzioni. Mentre le cose peggioravano, cercarono di attuare il controllo degli stipendi, dei prezzi, e di quant'altro. Il governo cercò di aumentare le tasse in tutti i modi possibili. Qualcuno notò che su un filone di pane, dal grano del contadino fino al fornaio, c'erano più di 50 tasse. Arrivarono gli "esperti" e qualcuno andò al governo. Ma nonostante le annuali riunioni, non riuscivano ad ottenere niente a parte gli articoli di stampa che dicevano che le tasse andavano "ristrutturate", ma alla fine aumentavano sempre. Bankenstein cominciò a richiedere indietro gli interessi "dovuti" ed una fetta sempre maggiore del prodotto interno lordo andava sprecato nel ripagamento della sua truffa contabile (in Italia siamo al 106% di debito pubblico rispetto al PIL: produciamo 100 ma siamo "indebitati" per 106). Si formarono quindi dei partiti politici e la gente cominciò a chiedersi chi poteva meglio risolvere i suoi problemi. I partiti parlavano di tutto, delle personalità, degli ideali, delle ideologie, di tutto fuorché del vero problema. (omertà) I Comuni cominciarono ad avere delle difficoltà. In una delle città l'interesse sul debito era superiore alle tasse raccolte in un anno. Attraverso il paese, l'interesse non pagato aumentava. L'anno dopo, venivano calcolati gli interessi sull'interesse,incrementando ulteriormente il debito.
Lentamente ma inesorabilmente, la ricchezza del Paese diventava possesso o era sotto il controllo di Bankenstein e della sua cosca, parallelamente molta gente ne diveniva schiava. Ma il controllo sulla gente non era ancora completo ed i malviventi non sarebbero stati al sicuro finché non lo fosse stato. La maggior parte delle persone che osavano opporsi, poteva essere silenziata attraverso la pressione finanziaria o venendo ridicolizzata. Per ottenere lo scopo, la cosca di Bankenstein comprò la maggior parte dei giornali, delle radio e delle televisioni selezionando accuratamente le persone che vi avrebbero operato. Molte persone avevano un sincero desiderio di migliorare il mondo, ma non realizzavano di essere strumentalizzate. Si occupavano sempre degli effetti dei problemi trascurandone le cause. C'erano vari giornali: uno per la destra, uno per la sinistra, uno per i salariati ed uno per i padroni, e così via. Non aveva molto significato a quale gruppo uno appartenesse, l'importante era di non guardare in faccia i problemi reali. (omertà) Il piano di Bankenstein era quasi completo - tutta la nazione era indebitata con lui. Attraverso l'educazione ed i media, Bankenstein controllava la mente delle persone. Queste potevano solo pensare quello che decideva lui. Quando un uomo ha più soldi di quanti mai ne possa spendere per soddisfare i suoi piaceri, che cosa più lo può eccitare? Per quelli che hanno la mentalità della classe dirigente, la risposta è il potere - il puro potere dell'uomo sull'uomo. Anche gli idealisti venivano assunti nei media e nel governo, ma i veri camerieri che Bankenstein cercava erano quelli con la mentalità della classe dirigente. La maggior parte degli orafi avevano scelto questa strada. Essi conoscevano l'eccitazione della grande ricchezza, ma non ne erano più soddisfatti. Avevano bisogno di una sfida più eccitante ed il gioco finale era il potere sulle masse. Essi credevano di essere superiori a tutti gli altri:"E' nostro dovere e diritto governare. Le masse non sanno cosa è bene per loro. Hanno bisogno di essere inquadrati ed organizzati. Governare è il nostro diritto dalla nascita." Attraverso tutto il paese, Bankenstein ed i suoi picciotti possedevano molti uffici di prestito. Certo, erano di proprietà privata ed erano separati l'un l'altro. In teoria, erano in concorrenza l'uno con l'altro, ma in realtà lavoravano gomito a gomito.
Dopo aver convinto alcuni governanti, misero su una istituzione che chiamarono la "Banda Centrale". Non usarono neppure i loro soldi per crearla: crearono del credito utilizzando i depositi della stessa popolazione. Questa istituzione aveva la sembianza di una operazione del governo tesa a regolare la fornitura della moneta, ma stranamente, nessun funzionario pubblico venne mai ammesso nel consiglio d'amministrazione. Il governo non prendeva più a prestito direttamente da Bankenstein, ma cominciò ad usare un sistema di cambiali che scontava presso la Banda Centrale. I Buoni del Tesoro offerti non erano altro che la promessa di future tasse da riscuotere dai cittadini. Questo era confacente al piano di Bankenstein: far sì che la sua rapina sembrasse una operazione governativa. Ma dietro le scene, il burattinaio era sempre lo stesso. Indirettamente, Bankenstein aveva un tale controllo sull'operato del governo che quest'ultimo non aveva più scelta. Bankenstein amava dire in privato: "Datemi il controllo sulla moneta di una nazione e non mi fregherà niente di chi fa le leggi". Non aveva alcuna importanza quali fossero i governanti di volta in volta eletti, Bankenstein aveva il controllo della moneta, la linfa vitale della nazione. Il governo otteneva i soldi, ma ogni volta veniva caricato l'interesse su ogni prestito. Sempre più risorse venivano bruciate in progetti assistenzialisti e, ben presto, il governo non fu più nemmeno in grado di pagare l'interesse, figuriamoci il capitale. (pizzo) Ancora si trovavano delle persone che ponevano la domanda: "La moneta è una creazione dell'uomo. Non può essere aggiustata per servire l'uomo invece di comandarlo?" Ma queste persone diminuivano sempre più e le loro voci si sperdevano nel folle trambusto per l'interesse inesistente. Le amministrazioni cambiavano, i partiti cambiavano di nome, ma le politiche continuavano uguali. Al di là di qualsiasi governo che fosse al "potere", l'obiettivo di Bankenstein si avvicinava sempre più ogni anno che passava. Le politiche della gente non contavano niente. Il popolo veniva tassato al limite, non poteva ormai pagare di più. Era giunto il momento per l'ultima mossa di Bankenstein.
Il 10% della moneta era ancora sotto forma di banconote e monete. Queste dovevano essere abolite in un modo da non destare sospetti. Finché la gente usava il contante, essa era libera di acquistare quello che voleva, mantenendo ancora un qualche controllo sulla propria vita. Andare in giro con somme in contanti non era abbastanza sicuro, data la povertà e la disperazione diffusa causate dalla cosca di bankenstein: si poteva essere anche rapinati da qualcun altro! Gli assegni non venivano accettati al di fuori della comunità locale e quindi si doveva pensare ad un sistema più efficiente per sostituire il contante. Ancora una volta, Bankenstein aveva pronta la risposta. La sua cosca creò una carta di plastica personalizzata che mostrava il nome, la foto ed un numero d'identificazione del portatore. Ogni volta che questa carta veniva presentata, il negoziante telefonava al computer centrale per controllarne il credito. Se era a posto, la persona poteva fare acquisti fino ad un certo importo. All'inizio le persone vennero autorizzate a spendere una piccola somma, e se questa veniva ripagata entro il mese, non veniva addebitato alcun interesse. Questo poteva andar bene per il dipendente, ma l'uomo d'affari come poteva fare? Egli doveva acquistare macchinari, materie prime, pagare i dipendenti, etc. Vendendo poi i prodotti, ripagava il credito utilizzato. Se un mese non ce la faceva, gli veniva caricato un interesse di 1,5% al mese. In un anno, l'interesse composto superava il 18%. Gli uomini d'affari non avevano altra possibilità che aggiungere questo costo al prezzo finale dei loro prodotti. Anche se questa moneta e credito (circa 18%) non era stato prestato a nessuno. In tutto il paese, agli imprenditori venne addossato il compito impossibile di ripagare i 100 dollari presi a prestito con 118 dollari di cui 18 non sono mai esistiti.
Ma Bankenstein ed i suoi picciotti acquisivano sempre più prestigio nella società. Venivano considerati come pilastri di rispettabilità, dei veri e propri uomini d'onore. Le loro affermazioni sulle questioni finanziarie ed economiche venivano seguite con fede religiosa. Sotto il fardello di tasse sempre maggiori, molte piccole imprese collassarono. Per effettuare delle attività venivano richieste licenze specifiche, chi non le aveva non poteva reinserirsi. Bankenstein controllava tutte le grandi società che avevano centinaia di filiali e sussidiarie. Queste sembravano in concorrenza tra loro, ma lui le controllava tutte. Gli eventuali concorrenti venivano sistematicamente eliminati. Gli elettricisti, gli idraulici, i tappezzieri: tutti subirono lo stesso fato. Vennero fagocitati dalle società giganti di bankenstein che ricevevano i sussidi governativi. Bankenstein aveva voluto le carte di credito per eliminare i contanti: una volta che questi fossero spariti, solo chi possedeva la carta di credito avrebbe potuto sopravvivere. Egli pianificò che chi avrebbe perso la carta di credito, sarebbe stato impossibilitato a vendere od ad acquistare qualsiasi cosa, fino a che non ne fosse stata verificata l'identità. Per questo propose una legge che imponeva a tutti di fare un tatuaggio di identificazione sulla mano, un tatuaggio rilevabile da uno speciale lettore collegato al computer.
Ogni computer sarebbe stato collegato al computer centrale dimodoché, di ognuno, si potesse sapere dove era e cosa stesse facendo, in qualsiasi momento.
Marea Nera
Buongiorno a tutti, oggi vorrei riproporre un articolo di qualche mese fà a proposito del disastro petrolifero della BP.
In maniera marginale avevo già scritto qualcosa sul disastro petrolifero della BP, riproponendo un vecchio articolo di Murray Rothbard. La realtà di questi giorni è però di gran lunga più complessa.
É da 49 giorni che la piattaforma della BP, Deepwater Horizon, è esplosa nel Golfo del Messico. Da quel momento, è iniziata l'emorragia di greggio nelle acque oceaniche. Sebbene la BP ufficialmente affermi che solo poche migliaia di barili vengono persi al giorno, gli esperti stimano il danno in 60,000 barili, ovvero più di 2,5 milioni di galloni al giorno. Forse, ne sapremmo di più se la BP non avesse proibito agli ingegneri indipendenti di ispezionare la falla. Un trattamento analogo, grazie alla solerte collaborazione della Guardia Costiera statunitense, è stato riservato ai giornalisti. I rimedi per fermare la perdita sono risultate poco brillanti, e diversamente dall'ultimo grande incidente petrolifero - l'Exxon Valdez nel 1989 - il petrolio fuoriesce dal suolo, non da una petroliera, quindi non abbiamo la minima idea di quando si fermerà. I mass media stanno seguendo il disastro con articoli in prima pagina e notiziari notturni ogni giorno, ma gli aspetti nascosti di questo racconto da brividi dipingono un interessante quadro degli attori e delle azioni dietro la catastrofe. Ecco alcune cose che dovreste sapere sulla BP:
#1) Il proprietario della piattaforma ha guadagnato 270 milioni di dollari da questo incidente. La Transocean Ltd., la proprietaria della Deepwater Horizon, ceduta in affitto alla BP, è sempre stata nell'ombra del radar dei principali notiziari. Si tratta del più grande contractor di trivellazioni in mare aperto, la compagnia ha sede in Svizzera e non è nuova a disastri petroliferi. La piattaforma è stata assicurata per una somma di gran lunga più grande rispetto al suo valore.
#2) La BP ha un lungo curriculum di disastri petroliferi negli Stati Uniti. Nel 2005, la raffineria a Texas City esplose, uccidendo 15 lavoratori e ferendone 170. L'anno successivo, uno degli oleodotti in Alaska per un guasto perse 200,000 galloni di greggio. Secondo Public Citizen la BP pagò una multa di 550 milioni di dollari in multe. La corporation è particolarmente propensa a violare il Clean Air Act e il Clean Water Act, e ha pagato le due multe più onerose nella storia dell'Occupational Safety and Health Administration (è una sorpresa che la BP ha avuto un ruolo centrale, sebbene passato in secondo piano, nel tentativo fallito di contenere la perdita della Exxon Valdez?) Con la Deepwater Horizon il trend non è cambiato.In aggiunta alla scelta di un più conveniente e meno sicuro rivestimento per equipaggiare il pozzo, la compagnia ha scelto di non dotare la Deepwater Horizon con un meccanismo acustico, un'opzione che avrebbe potuto chiudere il pozzo anche se fosse stato pesantemente danneggiato, e che è richiesto nei paesi più sviluppati che permettono le trivellazioni in mare aperto. Infatti la BP utilizza questi strumenti nelle sue piattaforme a largo dell'Inghilterra, ma poichè gli Stati Uniti si limitano a raccomandarli, la BP non ha alcun incentivo a dotarsene, nonostante costino solo 500,000 dollari. Una cifra che secondo seizeBP.org, la compagnia guadagna in meno di otto minuti.
#3) Le perdite di greggio sono un costo d'impresa per la BP. Secondo l'Harte Research Institute, circa 1,6 miliardi di dollari in attività economiche annuali sono a rischio per via del disastro della Deepwater Horizon. Comparate questo numero all'attuale somma che la BP deve pagare per danni economici come posti di lavoro e turisti persi, che ammonta a 75 milioni di dollari. Comparateli ai profitti del primo quadrimestre, registrati dalla BP a una settimana dall'incidente: 6 miliardi di dollari. Tony Hayward, l'amministratore delegato di BP, ha solennemente promesso che la somma coperta sarà più di quella richiesta inizialmente. Il 10 maggio la BP ha annunciato che erano stati spesi 350 milioni di dollari. Che gesto generoso da parte di una compagnia valutata 152,6 miliardi di dollari e che guadagna 93 milioni di dollari ogni giorno.
#4) Il Dipartimento dell'Interno è complice. I primi allarmi su possibili guasti dei sistemi di supporto risalgono a dieci anni fa. Il Dipartimento dell'Interno dichiarò un'allerta per la sicurezza, ma poi lasciò decidere alle compagnie che supporti utilizzare. Nel 2007 lo stesso dipartimento minimizzò le possibilità e i danni di una perdita. Probabilmente la filiale della Louisiana del Dipartimento dell'Interno potrebbe essere confusa per via della propria fraternizzazione con l'industria del petrolio. La Minerals Management Service, ovvero l'agenzia che supervisiona le trivellazioni in alto mare, accetta quotidianamente regali dalle aziende petrolifere e persino si considera una branca delle stesse, piuttosto che un'agenzia di regolazione governativa. Volare sugli aerei privati non era un evento raro per gli ispettori della MMS in Lousiana, un rapporto federale riporta: "Le gare di tiro al piattello, le battute di caccia, la pesca, i tornei di golf e le feste di Natale" erano passatempi comuni. Attività che non hanno permesso agli ispettori di obbligare la BP a stilare un rapporto sui danni di un'eventuale perdita di greggio. Non stupisce che il Dipartimento dell'Interno, dal 20 aprile, giorno in cui è esplosa da Deepwater Horizon, abbia approvato 27 nuovi permessi per la trivellazione in mare aperto. Due di questi sono per la BP. Analogamente non stupisce che la BP, dal 2000, abbia guadagnato più di 9 miliardi di dollari attraverso gli appalti governativi.
#5) Le prospettive di bonifica sono minime. I mass media hanno fatto un gran chiasso attorno ai diversi metodi che la BP sta utilizzando per bonificare la perdita di greggio. La realtà è che anche se la BP dovesse trovare un metodo affidabile, gli esperti affermano che il miglior scenario di bonifica consista nel recuperare il 20% del greggio disperso.
#6) La BP non ha un piano reale di bonfica.
#7) L'amministratore delegato della BP, poche settimane prima della perdita di greggio, ha venduto 1,4 milioni di dollari delle sue quote del gigante petrolifero. Circa un mese prima dell'esplosione, Tony Hayward ha venduto un terzo della suq quota.
#8) La BP esponeva costantemente i propri impiegati a dei rischi. Un documento interno dimostra come nell'esplosione del 2005 a Texas City, che uccise 15 persone e ne ferì 170, si scelse di risparmiare piuttosto che garantire la sicurezza.
#9) Il Corexit, il famigerato disperdente che la BP continua a riversare in mare, è altamente tossico, non consentito in Europa, ma è prodotto dalla Nalco. Esistono almeno 12 detergenti più efficaci. Nel consiglio d'amministrazione dell'azienda siedono manager della BP, della Exxon e la Goldman Sachs possiede una quota considerevole della Nalco stessa.
#10) Il dato peggiore della calamità della Deepwater Horizon è che nessuno ha la minima idea di cosa fare. Non sappiamo quanto è ingente il danno perchè nessuno può misurare cosa stia accadendo. Non sappiamo come fermarlo e nell'eventualità che accadesse non sappiamo come bonificare. L'incidente potrebbe ripetersi nuovamente nel Golfo, dato che la piattaforma Atlantis sta violando norme di sicurezza cruciali e non dispone di importanti documenti ingegneristici, la cui assenza aumenta notevolmente le probabilità di rischio. L'amministrazione Obama e l'MMS non hanno la minima intenzione di obbligare la BP a fermare le operazioni di trivellazione. Molto probabilmente sono impegnati in una partita di golf.
In maniera marginale avevo già scritto qualcosa sul disastro petrolifero della BP, riproponendo un vecchio articolo di Murray Rothbard. La realtà di questi giorni è però di gran lunga più complessa.
É da 49 giorni che la piattaforma della BP, Deepwater Horizon, è esplosa nel Golfo del Messico. Da quel momento, è iniziata l'emorragia di greggio nelle acque oceaniche. Sebbene la BP ufficialmente affermi che solo poche migliaia di barili vengono persi al giorno, gli esperti stimano il danno in 60,000 barili, ovvero più di 2,5 milioni di galloni al giorno. Forse, ne sapremmo di più se la BP non avesse proibito agli ingegneri indipendenti di ispezionare la falla. Un trattamento analogo, grazie alla solerte collaborazione della Guardia Costiera statunitense, è stato riservato ai giornalisti. I rimedi per fermare la perdita sono risultate poco brillanti, e diversamente dall'ultimo grande incidente petrolifero - l'Exxon Valdez nel 1989 - il petrolio fuoriesce dal suolo, non da una petroliera, quindi non abbiamo la minima idea di quando si fermerà. I mass media stanno seguendo il disastro con articoli in prima pagina e notiziari notturni ogni giorno, ma gli aspetti nascosti di questo racconto da brividi dipingono un interessante quadro degli attori e delle azioni dietro la catastrofe. Ecco alcune cose che dovreste sapere sulla BP:
#1) Il proprietario della piattaforma ha guadagnato 270 milioni di dollari da questo incidente. La Transocean Ltd., la proprietaria della Deepwater Horizon, ceduta in affitto alla BP, è sempre stata nell'ombra del radar dei principali notiziari. Si tratta del più grande contractor di trivellazioni in mare aperto, la compagnia ha sede in Svizzera e non è nuova a disastri petroliferi. La piattaforma è stata assicurata per una somma di gran lunga più grande rispetto al suo valore.
#2) La BP ha un lungo curriculum di disastri petroliferi negli Stati Uniti. Nel 2005, la raffineria a Texas City esplose, uccidendo 15 lavoratori e ferendone 170. L'anno successivo, uno degli oleodotti in Alaska per un guasto perse 200,000 galloni di greggio. Secondo Public Citizen la BP pagò una multa di 550 milioni di dollari in multe. La corporation è particolarmente propensa a violare il Clean Air Act e il Clean Water Act, e ha pagato le due multe più onerose nella storia dell'Occupational Safety and Health Administration (è una sorpresa che la BP ha avuto un ruolo centrale, sebbene passato in secondo piano, nel tentativo fallito di contenere la perdita della Exxon Valdez?) Con la Deepwater Horizon il trend non è cambiato.In aggiunta alla scelta di un più conveniente e meno sicuro rivestimento per equipaggiare il pozzo, la compagnia ha scelto di non dotare la Deepwater Horizon con un meccanismo acustico, un'opzione che avrebbe potuto chiudere il pozzo anche se fosse stato pesantemente danneggiato, e che è richiesto nei paesi più sviluppati che permettono le trivellazioni in mare aperto. Infatti la BP utilizza questi strumenti nelle sue piattaforme a largo dell'Inghilterra, ma poichè gli Stati Uniti si limitano a raccomandarli, la BP non ha alcun incentivo a dotarsene, nonostante costino solo 500,000 dollari. Una cifra che secondo seizeBP.org, la compagnia guadagna in meno di otto minuti.
#3) Le perdite di greggio sono un costo d'impresa per la BP. Secondo l'Harte Research Institute, circa 1,6 miliardi di dollari in attività economiche annuali sono a rischio per via del disastro della Deepwater Horizon. Comparate questo numero all'attuale somma che la BP deve pagare per danni economici come posti di lavoro e turisti persi, che ammonta a 75 milioni di dollari. Comparateli ai profitti del primo quadrimestre, registrati dalla BP a una settimana dall'incidente: 6 miliardi di dollari. Tony Hayward, l'amministratore delegato di BP, ha solennemente promesso che la somma coperta sarà più di quella richiesta inizialmente. Il 10 maggio la BP ha annunciato che erano stati spesi 350 milioni di dollari. Che gesto generoso da parte di una compagnia valutata 152,6 miliardi di dollari e che guadagna 93 milioni di dollari ogni giorno.
#4) Il Dipartimento dell'Interno è complice. I primi allarmi su possibili guasti dei sistemi di supporto risalgono a dieci anni fa. Il Dipartimento dell'Interno dichiarò un'allerta per la sicurezza, ma poi lasciò decidere alle compagnie che supporti utilizzare. Nel 2007 lo stesso dipartimento minimizzò le possibilità e i danni di una perdita. Probabilmente la filiale della Louisiana del Dipartimento dell'Interno potrebbe essere confusa per via della propria fraternizzazione con l'industria del petrolio. La Minerals Management Service, ovvero l'agenzia che supervisiona le trivellazioni in alto mare, accetta quotidianamente regali dalle aziende petrolifere e persino si considera una branca delle stesse, piuttosto che un'agenzia di regolazione governativa. Volare sugli aerei privati non era un evento raro per gli ispettori della MMS in Lousiana, un rapporto federale riporta: "Le gare di tiro al piattello, le battute di caccia, la pesca, i tornei di golf e le feste di Natale" erano passatempi comuni. Attività che non hanno permesso agli ispettori di obbligare la BP a stilare un rapporto sui danni di un'eventuale perdita di greggio. Non stupisce che il Dipartimento dell'Interno, dal 20 aprile, giorno in cui è esplosa da Deepwater Horizon, abbia approvato 27 nuovi permessi per la trivellazione in mare aperto. Due di questi sono per la BP. Analogamente non stupisce che la BP, dal 2000, abbia guadagnato più di 9 miliardi di dollari attraverso gli appalti governativi.
#5) Le prospettive di bonifica sono minime. I mass media hanno fatto un gran chiasso attorno ai diversi metodi che la BP sta utilizzando per bonificare la perdita di greggio. La realtà è che anche se la BP dovesse trovare un metodo affidabile, gli esperti affermano che il miglior scenario di bonifica consista nel recuperare il 20% del greggio disperso.
#6) La BP non ha un piano reale di bonfica.
#7) L'amministratore delegato della BP, poche settimane prima della perdita di greggio, ha venduto 1,4 milioni di dollari delle sue quote del gigante petrolifero. Circa un mese prima dell'esplosione, Tony Hayward ha venduto un terzo della suq quota.
#8) La BP esponeva costantemente i propri impiegati a dei rischi. Un documento interno dimostra come nell'esplosione del 2005 a Texas City, che uccise 15 persone e ne ferì 170, si scelse di risparmiare piuttosto che garantire la sicurezza.
#9) Il Corexit, il famigerato disperdente che la BP continua a riversare in mare, è altamente tossico, non consentito in Europa, ma è prodotto dalla Nalco. Esistono almeno 12 detergenti più efficaci. Nel consiglio d'amministrazione dell'azienda siedono manager della BP, della Exxon e la Goldman Sachs possiede una quota considerevole della Nalco stessa.
#10) Il dato peggiore della calamità della Deepwater Horizon è che nessuno ha la minima idea di cosa fare. Non sappiamo quanto è ingente il danno perchè nessuno può misurare cosa stia accadendo. Non sappiamo come fermarlo e nell'eventualità che accadesse non sappiamo come bonificare. L'incidente potrebbe ripetersi nuovamente nel Golfo, dato che la piattaforma Atlantis sta violando norme di sicurezza cruciali e non dispone di importanti documenti ingegneristici, la cui assenza aumenta notevolmente le probabilità di rischio. L'amministrazione Obama e l'MMS non hanno la minima intenzione di obbligare la BP a fermare le operazioni di trivellazione. Molto probabilmente sono impegnati in una partita di golf.
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